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ECCO PERCHÉ L’ALITALIA PUO’ (ANZI DEVE) FALLIRE

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(WSI) – L’Alitalia non riesce a sopravvivere senza aiuti di Stato (diretti o indiretti) o senza usare trattati internazionali che ostacolano la concorrenza. Per questo deve uscire dal mercato, cioè deve fallire.

Ma appena si parla di fallimento, subito insorgono tre obiezioni, tutte fallaci. Primo: la perdita dei posti di lavoro. L’Alitalia (come le altre compagnie di bandiera di altri Paesi europei) storicamente ha goduto di vari sussidi dal contribuente e ha potuto fissare tariffe elevate in mercati protetti dalla concorrenza.

Non appena i mercati si sono un po’ liberalizzati anche in Europa, l’Alitalia è colata a picco. Se uscisse dal mercato la domanda dei viaggiatori verrebbe soddisfatta da altre compagnie più efficienti, con tariffe più basse. Il mercato aereo si espanderebbe (più viaggiatori potrebbero permettersi i prezzi più bassi) e l’occupazione aumenterebbe. Certo, quella parte di assistenti di volo famosi per la loro scortesia e supponenza e quella parte di piloti sempre abbronzati che lavorano una manciata di ore al mese quando non scioperano, avranno difficoltà a trovare lavoro se non cambiano atteggiamento.

Quei dirigenti che sanno gestire solo imprese protette dalla concorrenza dovranno rivedere i loro libri di business school. E’ l’occupazione di questo tipo di assistenti di volo, piloti e dirigenti che vogliamo difendere? Si tratta di scegliere fra insider privilegiati e outsider discriminati.

La seconda obiezione è che certe tratte (Milano-Roma) senza l’Alitalia potrebbero non essere servite a sufficienza. Nell’Unione Sovietica dei programmi quinquennali si pianificava l’offerta di beni e servizi a tavolino; i risultati li abbiamo visti. In un sistema di mercato, domanda e offerta si incontrano nel punto in cui l’una soddisfa l’altra. Se l’offerta di voli Milano-Roma fosse insufficiente qualche altra compagnia entrerà in questo mercato. Se invece, senza Alitalia, i voli Milano-Roma diminuissero, significherebbe che oggi ce ne sono troppi.

La terza obiezione è che un Paese «deve» avere la sua compagnia di bandiera per motivi (immagino) nazionalistici. Io credo che sia meglio riversare il nostro orgoglio nazionale su quegli atleti degli sport «poveri» (cioè non i calciatori) che hanno vinto tante medaglie ad Atene e lasciare l’Alitalia al suo destino. Gli Stati Uniti spesso (a torto o a ragione) criticati per la loro arroganza nazionalistica non hanno mai avuto una compagnia di bandiera e non ne sentono la mancanza.

Al contrario negli Usa la concorrenza nel mercato aereo è feroce. Molte compagnie sono fallite, tra l’altro proprio quelle vittime di organizzazioni sindacali di piloti ed assistenti di volo intransigenti. Altre invece hanno avuto straordinari successi.

Le obiezioni al fallimento dell’Alitalia sono il risultato di una cultura che vede nel mercato un mostro da imbrigliare, una visione che accomuna cultura marxista, cattolica e destra sociale, le tre componenti che rappresentano il 95% delle radici della nostra classe politica. Tanto di guadagnato per assistenti di volo, piloti e dirigenti Alitalia; tutto da perdere per viaggiatori e contribuenti.

Mario Monti ha portato a Bruxelles una ventata di liberismo e di difesa del mercato contro i sussidi pubblici alle imprese e avrebbe continuato a farlo. Naturalmente il nostro governo ha pensato subito di sostituirlo; come si dice in inglese: «Le buone azioni non rimarranno impunite». Insomma, se tra sei mesi ci saranno ancora voli Alitalia o è successo un miracolo o anche il nuovo ministro del Tesoro Domenico Siniscalco ha perso la partita del liberismo.

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