ECCO I PAPABILI

di Redazione Wall Street Italia
2 Aprile 2005 16:26

Il contenuto di questo articolo esprime esclusivamente il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Cento e più principi per eleggere un imperatore, con i cardinali elettori impegnati nelle grandi manovre del conclave. Contatti e alleanze sono già in corso da molti anni, qualche blocco ha cominciato a formarsi, ma tutto cambia quando il gioco diventerà reale.

Un pugno di uomini, personalità di grande spicco, avranno un ruolo essenziale nell’orientare i voti. Sono i kingmaker, quelli che fanno il re come dicono gli anglosassoni. Alcuni di loro hanno anche le caratteristiche per essere candidati, ma in primo luogo sono destinati a coagulare consensi da spendere sul tavolo delle trattative segrete, orientando il voto i loro interventi e consigli, sfruttando relazioni e legami allacciati nel corso di una lunga carriera. Perché una cosa è sicura. Prima e durante il Conclave si negozia moltissimo sul candidato e la sua piattaforma. In modo soft, sfumato, diplomatico, allusivo, però la partita è serratissima.

Come piloti emergono fra tutti, in Curia, i cardinali Angelo Sodano e Joseph Ratzinger. Un italiano e un tedesco. Il Segretario di Stato Sodano è naturalmente, dato il suo ufficio, uomo di fittissimi rapporti in tutti i settori della Chiesa universale. E’ fautore di un moderato riformismo e tutore della Curia come istituzione imprescindibile per governare l’immensa comunità dei fedeli cattolici. Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, è il custode dell’ortodossia, ma anche a modo suo un movimentista. Crede alla necessità di sburocratizzare la Chiesa, di superare il suo carattere di monarchia assoluta, di favorire un cauto decentramento, di dare maggior spazio ai movimenti ecclesiali, mettendo l’accento sull’essenzialità della fede. Negli ultimi tempi è emerso come candidato per un pontificato di transizione per fare alcune riforme, evitando però un ingolfamento di riforme come accadde dopo Pio XII.

Un ruolo speciale di tessitore spetta inoltre al cardinale spagnolo Eduardo Martinez Somalo, che nella sua qualità di Camerlengo di Santa Romana Chiesa prepara il Conclave e spiana la strada alla riduzione del ventaglio di papabili ad una rosa di nomi su cui discutere o trattare sul serio.

Altre personalità influenti sono il cardinale Dario Castrillon Hoyos, prefetto della congregazione per il Clero, il cardinale Crescenzio Sepe, attivissimo prefetto della congregazione di Propaganda Fide, Carlo Maria Martini ex arcivescovo di Milano, Giacomo Biffi ex arcivescovo di Bologna, Jean-Marie Lustiger già arcivescovo di Parigi, Jaime Sin arcivescovo emerito di Manila, il cardinale Karl Lehmann, presidente dei vescovi tedeschi, Edward Egan di New York, Josè da Cruz Policarpo patriarca di Lisbona.

Scegliere il successore di un personaggio carismatico e mediatico come Karol Wojtyla non sarà facile. Ma negli ultimi due secoli la Chiesa è sempre stata capace di individuare il monarca adatto per i tempi. Se si verificava un errore, magari perché l’eletto si rivelava troppo fragile come papa Luciani, interveniva la provvidenza a correggerlo.

Due sono, in queste ore, i grandi scenari. Il “ritorno all’Italia” e l’opzione latino-americana. Tornare ad un pontefice italiano non è, paradossalmente, un desiderio dei cardinali del nostro Paese. Gli italiani di Curia non sono nazionalisti (e sono anche divisi). La richiesta proviene da una parte consistente dell’episcopato mondiale.

Gli uomini di Chiesa italiani sono visti come mediatori di alto livello, personaggi flessibili, capaci di inaugurare alcuni cambiamenti senza troppe scosse e di governare con quella diplomazia che viene dalla lunga consuetudine con un potere di respiro universale. C’è bisogno di un papato più leggero dopo il pontificato imperiale di Wojtyla. Gli italiani, conoscendo benissimo i meccanismi segreti della Curia, possono operare con sapienza gli aggiustamenti che i tempi esigono. In molti settori della Chiesa (quale che sia l’orientamento) esiste una forte dose di insofferenza per un Vaticano, che diffonda prescrizioni ossessivamente dettagliate a tutte le “province” della cristianità.

Il cardinale Camillo Ruini

Alcuni nomi spiccano nello scenario italiano, oltre a quello del Segretario di Stato Sodano in buona posizione per essere un candidato di compromesso e di transizione. Il cardinale Dionigi Tettamanzi di Milano, il patriarca di Venezia Angelo Scola, il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione dei vescovi. Anche il cardinale Camillo Ruini, presidente della Cei e vicario papale per la città di Roma, è pronto a entrare nel gioco.

Angelos Scola, patriarca di Venezia, è salito da poco nell’olimpo dei papabili. Ma è stata un’ascesa rapida. Uomo di grande cultura, collaboratore di Wojtyla in alcune delle sue encicliche, convinto della necessità della cultura occidentale di “contaminarsi” con gli stimoli vitali provenienti dall’Asia e in special modo dalla cultura islamica e indiana, Scola è stato anche rettore dell’università Lateranense e sostiene l’urgenza di rilanciare l’antropologia cristiana.

Tettamanzi è da anni un papabile di rango. Studioso di morale, profondo conoscitore dei problemi della famiglia – un tema chiave per papa Wojtyla – è assai sensibile ai temi della giustizia sociale e della globalizzazione, ed è stato il porporato italiano più impegnato nella campagna di Giovanni Paolo II in difesa della pace nell’anno della guerra americana all’Iraq.

Temperamenti freddi, ma di acuta intelligenza sono Ruini e Re, che hanno goduto del favore di Giovanni Paolo II. Entrambi sono moderati e conoscono bene la macchina ecclesiastica (e la politica italiana). Ruini negli ultimi anni ha sempre più sottolineato l’esigenza per la Chiesa di confrontarsi con la cultura contemporanea e di trovare il linguaggio giusto per non essere tagliata fuori dai grandi rivolgimenti tecnici e scientifici. La sua “missione per Roma” e il suo “progetto culturale” per la Chiesa italiana sono stati considerati un modello interessante dall’episcopato di varie nazioni.

Sempre attuale resta comunque l'”opzione latino-americana”, come viene chiamata in Vaticano. Esprime l’esigenza di far risaltare ulteriormente l’internazionalizzazione della Chiesa. In America latina vivono oggi la metà dei cattolici di tutto il mondo. Un papa latino-americano rappresenterebbe visibilmente la fine dell’eurocentrismo cattolico e, si potrebbe dire, quasi il passaggio fisico del baricentro ecclesiale dall’Europa al Terzo Mondo. Fede e giustizia sociale sono le corde che vibrano maggiormente in questo campo. Un Pontefice sudamericano sarebbe un pastore segnato dal contatto con una realtà viva, drammatica, tumultuosa. Capace di capire le masse ansiose di una globalizzazione umana e in cerca di una salvezza che le strappi da un destino di solitudine interiore. Al tempo stesso sarebbe un pontefice culturalmente assai vicino alla tradizione di Roma e non sarebbe percepito come un salto nel buio.

Il brasiliano Claudio Hummes, arcivescovo di San Paolo, il messicano Norberto Rivera Carrera, l’honduregno Oscar Maradiaga, l’argentino Jorge Mario Bergoglio sono i più in vista. Hanno tutti una fede viva e una forte sensibilità sociale.

Avremo un Papa nero? Non manca chi sogna il momento in cui l’universalità della Chiesa si esprimerà attraverso il volto di un figlio del ”continente della speranza” come lo chiamava Giovanni Paolo II. L’Africa è la terra in cui il cattolicesimo si sta espandendo a ritmo velocissimo e presenta personalità di grande rilievo, fra cui emerge il nigeriano Francis Arinze. Per lunghi anni responsabile del consiglio pontifico per i rapporti con i non – cristiani e dunque tessitore di rapporti con musulmani, buddisti e induisti, Arinze è un cardinale conosciuto per sensibilità, finezza, senso dell’umorismo e modestia.

Come in ogni gara non possono mancare gli outsider. E l’Europa ne offre parecchi, tutti di razza: Christoph Schoenborn di Vienna, Vladislav Vlk di Praga, Godfried Danneels di Bruxelles, Antonio Rouco Varela di Madrid e Cormac Murphy-O’ Connor arcivescovo di Westminster, Philippe Barbarin di Lione. Schoenborn è un teologo di grande cultura, aperto alle correnti del pensiero moderno, che nella tempesta scatenatasi in Austria per il caso del cardinale pedofilo Groer ha dimostrato doti di leadership, di franchezza e capacità di dialogo con i movimenti contestatori e riformisti. Come Pontefice dalle parziali ascendenze ebraiche rappresenterebbe un simbolo suggestivo della riconciliazione tra il popolo di Cristo e il popolo di Mosé. Vlk porta con sé le stimmate della persecuzione del regime comunista: per qualche anno fu costretto a fare il lavavetri. Ma soprattutto è testimone dell’impetuoso processo di secolarizzazione prodottosi nel postcomunismo nei paesi dell’Europa orientale. La violenza del capitalismo selvaggio e dell’ateismo pratico gli è ben nota e d’altronde il fenomeno è motivo di preoccupazione per tanti cardinali elettori.
Danneels, invece, potrebbe ridare fiato alla tradizione riformista del concilio Vaticano II. Vivo papa Wojtyla, non si è peritato nei decenni passati di rivolgere anche qualche critica al suo conservatorismo dottrinale.

Alla fine, come spesso accade, la spunterà il “cardinale ignoto”, quello a cui nessuno aveva pensato. Ci sono voci che invitano a guardare all’Oriente. Se negli anni Settanta – affermano alcuni prelati – la Chiesa scelse come terreno di confronto l’Est europeo per sfidare il comunismo e fu la scelta di Karol Wojtyla, oggi la nuova frontiera è rappresentata dall’Asia, crogiolo dell’Islam e spazio dove stanno emergendo giganti come la Cina e l’India. Un cattolicesimo al passo con gli sviluppi storici sarebbe ben attrezzato con pontefice asiatico. Il nome che affiora immediatamente è quello dell’arcivescovo di Bombay Ivan Dias. Sarebbe l’uomo che porta in Curia anche l’attenzione alla spiritualità delle religioni orientali, però al tempo stesso il suo passato di nunzio garantirebbe un’omogeneità con la tradizione e la cultura della Curia.

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LO SCACCHIERE DELLE ALLEANZE PER LA SUCCESSIONE



di Roberto Monteforte


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(WSI) – Dopo la morte di Giovanni Paolo II, ci saranno venti giorni per capire dove andrà la Chiesa del Terzo Millennio. Venti giorni dopo le esequie solenni, infatti, i 117 cardinali «elettori» saranno chiamati da tutti i continenti a Roma. Si riuniranno in Conclave nella Cappella Sistina per eleggere il successore di Pietro, vescovo di Roma. Porteranno le esperienze, le culture, le domande maturate dalla tante Chiese che papa Wojtyla, vescovo di Roma e pastore della Chiesa universale, ha governato con la sua straordinaria personalità, con il suo carisma trascinante, con la sua capacità mediatica che gli ha consentito di parlare direttamente agli uomini, alle donne e ai giovani di tutti i continenti.

Chi sarà il nuovo Papa? È la domanda, ovvia, che prima veniva sussurrata ma che oggi può essere posta apertamente. La prima risposta è un’altra domanda, preliminare: per quale Chiesa? Quali sono gli obiettivi cui dovrà condurla il prossimo successore di Pietro?

Rispondere a questa domanda, dopo un pontificato così lungo e intenso, e non privo di contraddizioni, sarà già un modo per delineare il profilo del nuovo pontefice. Un’altra premessa è importante. Il Conclave dei cardinali elegge il vescovo di Roma che in quanto tale è Papa e capo della Chiesa cattolica universale. Non è un caso se nella Cappella Sistina siederanno ben 20 cardinali italiani «elettori», tra porporati di Curia e pastori di importanti diocesi. Non è un caso se per tradizione spetta proprio agli italiani avanzare la prima «candidatura», anche se la costituzione apostolica che regola l’elezione voluta proprio da Karol Wojtyla tende a rendere la formazione di cordate.

I nomi ci sono per tornare ad un Papa italiano dopo l’era Wojtyla. Da tempo circola quello dell’arcivescovo di Milano il settantunenne cardinale Dionigi Tettamanzi. È la figura del pastore, uomo di pace, colto, teologo e moralista aperto al dialogo con la cultura e con il mondo della scienza, sensibile alle istanze sociali, ma con moderazione. Ricorda fisicamente Giovanni XXIII. Si presenta come il mediatore, come il «parroco del mondo». Negli anni scorsi su questo nome pare si siano accordati i cardinali italiani. Anche se non vi possono essere conferme per questo tipo di accordo, su quel nome avrebbero convenuto almeno i porporati più autorevoli: il presidente della Cei e vicario del Papa alla diocesi di Roma, Camillo Ruini, l’importante uomo di Curia, cardinale Giovanni Battista Re, pare lo stesso segretario di Stato, cardinale Angelo Sodano. Ma quel «patto» regge ancora? È un fatto che altri nomi sono stati fatti circolare: dal giovane patriarca di Venezia, cardinale Angelo Scola, che ha solo 63 anni, allo stesso cardinale Ruini.

Il Conclave che ha eletto l’arcivescovo di Cracovia insegna: una divisione nella compagine italiana aprirebbe la strada ad altre possibilità. Tanto più che le spinte per una soluzione «non italiana» sono forti. Chiedono spazio le giovani Chiese, in particolare quelle dell’America latina. È quel continente, con l’Africa e l’Asia, a rappresentare la linfa vitale del cattolicesimo del terzo Millenio. Più del 50% dei cattolici nel mondo sono latinoamericani. Anche se sono divisi i cardinali di quei paesi peserà non poco l’orientamento della loro guarnita pattuglia, cui si potrebbero aggiungere quelli dei paesi dell’Est. Allora se la Chiesa vuole guardare al futuro, affrontare sino in fondo i problemi già posti dal pontificato di Giovanni Paolo II – dal dialogo tra le religioni, le culture e le etnie, lo sviluppo del pianeta ed evitare ogni scontro di civiltà – perché un pastore latino-americano non può sedere sul trono di Pietro?

I nomi non mancano: dal quotatissimo e forse troppo «protagonista» honduregno Rodriguez Maradiaga, al brasiliano arcivescovo di san Paolo, Claudio Hummes. Anche l’Asia ha il suo candidato, visto che ha tutte le carte in regola l’arcivescovo di Mumbai (l’ex Bombay), cardinale di Mumbai Ivan Dias. Ha 69 anni, è a capo della più grossa diocesi indiana, è amico di madre Teresa di Calcutta, ha avuto esperienza di Curia e una ricca carriera diplomatica: dal Benin, al Togo, al Ghana sino alla Corea e all’Albania. Parla ben 16 lingue.

Così dopo il Papa slavo che ha unificato l’Europa, abbattuto il muro di Berlino e i regimi dell’Est comunista, messo in guardia dai rischi della globalizzazione e del capitalismo selvaggio, un Papa non europeo, un «latino-americano» potrebbe aprire nuovi orizzonti alla Chiesa eurocentriche.

Ma potrebbe essere troppo per una Chiesa che deve ancora assorbire gli scossoni wojtyliani. Per chi preferisce una soluzione di «transizione», di assestamento c’è sempre nel cassetto la candidatura del custode dell’ortodossia dottrinale, l’autorevole Joseph Ratzinger. Ma sarà poi così rassicurante? Bruciano ancora le sue crude e dure parole sui mali della Chiesa «sporca», «nave che affonda» a commento dell via Crucis.

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