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ECCO COME SI FA
A COMPRARE ORO

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*Sara Silano è Caporedattore di Morningstar in Italia. Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Debutta su Borsa italiana il primo Exchange traded gold, insieme ad altri fondi che replicano il prezzo delle materie prime. Strumenti che non sono solo un rifugio dall’inflazione, ma sono poco correlati con azioni e obbligazioni. Per chi li sceglie, però, il nemico numero uno è la volatilità.

L’oro è per definizione un bene rifugio, perché mette al riparo dall’inflazione e dalle oscillazioni valutarie. Ma l’impennata dei prezzi negli ultimi anni ha trasformato il metallo giallo in uno strumento di investimento sempre più ambito: secondo le statistiche del World gold council, l’associazione che rappresenta i produttori, dal 2000 ad oggi gli investimenti sono cresciuti dell’83% e il flusso netto è stato di oltre 50 miliardi di dollari.

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Diversi i motivi che hanno portato a un aumento della domanda, primi fra tutti la debolezza del dollaro, le tensioni geopolitiche, la crescita economica dell’India, principale consumatore, e della Cina, la scarsità della materia prima (nonostante l’aumento della spesa per nuove esplorazioni, sono state poche le scoperte di miniere) e la scarsa correlazione con le azioni e le obbligazioni.

Nel corso degli anni sono aumentati anche gli strumenti per investire in oro. Tra i più recenti c’è la famiglia di Exchange traded gold, fondi strettamente correlati con l’andamento del prezzo del metallo giallo, in quanto hanno come sottostante i lingotti. Sono già quotati da tempo su sette mercati mondiali (New York, Londra, Parigi, Sidney, Johannesburg, Città del Messico e Singapore) e da oggi (20 aprile) il primo, targato Lyxor (gruppo Société Générale) sbarca in Borsa Italiana, nell’ETFplus, il segmento interamente dedicato a tali strumenti. Il Lyxor Gold bullion securities, lanciato tre anni fa, ha una capitalizzazione di quasi 1,45 miliardi di euro, garantita da 88 tonnellate d’oro.

Il metallo prezioso non è l’unica commodities che ha assunto un ruolo sempre più rilevante come strumento di investimento. All’impennata dei prezzi delle materie prime, registrata negli ultimi anni, ha contribuito il crescente interesse dei fondi e degli operatori istituzionali. Si sono moltiplicati anche i prodotti finanziari specializzati sul settore, in particolare c’è stato un vero e proprio boom di emissioni di certificati, contratti attraverso i quali un soggetto si impegna ad acquistare o vendere un bene a una determinata scadenza. Ad essi si affiancano ora gli Exchange traded commodities (Etc), quotati a Piazza Affari a partire dal 20 aprile, che replicano l’andamento di singole materie prime o indici di commodities. Nella maggior parte dei casi, il sottostante è rappresentato da derivati (future) nei quali l’emittente investe direttamente.

Come l’oro, tutte le risorse naturali presentano una scarsa correlazione con le altre classi di attivo e rappresentano un riparo dall’inflazione, perché generalmente i prezzi salgono in periodi di caro-vita. Dunque, sono un buon fattore di diversificazione del portafoglio e ne aumentano l’efficienza, come ha provato una ricerca effettuata l’anno scorso da Ibbotson (società del gruppo Morningstar) dal titolo “Strategic Asset allocation and commodities”.

Tali benefici, però, hanno un costo, la volatilità che dà la possibilità di ottenere alti guadagni, ma anche pericolose perdite in poco tempo. Solo una piccola parte del portafoglio (5-10%) dovrebbe, quindi, essere destinata a tali strumenti. E ancora più importante, ricordano gli analisti di Morningstar, i benefici della diversificazione in materie prime si ottengono nel lungo periodo (dieci anni o più). Dunque, solo se si resiste alla tentazione di cavalcare le impennate delle quotazioni e di fuggire dai crolli, spesso imprevedibili.

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