Con il doppio attentato in Kenia, all’albergo e all’aereo, il terrorismo ha «scalato» l’ultimo gradino della sua ferocia e ha compiuto un salto «qualitativo» di natura non solo strategica, ma anche e soprattutto politica.
Esso, uscendo dai limiti del territorio di Israele, dove peraltro continua a mietere vittime civili, accentua il suo carattere di violenza finalizzata alla violenza e, contemporaneamente, connota la sua azione non solo come «caccia all’israeliano» (in Israele), ma anche come «caccia all’ebreo» (nel mondo).
Da venerdì, con il passaggio dall’anti-israelismo all’anti-semitismo della violenza terroristica, rischia di non esserci più pace per gli ebrei, ovunque si trovino nel mondo.
Ma il passaggio della guerra a Israele, in Israele, alla guerra agli ebrei, nel mondo, si accompagna a una estensione della guerra dell’integralismo islamico all’intero pianeta e la violenza finalizzata alla violenza si caratterizza come guerra al mondo giudaico-cristiano nella sua totalità e generalità.
Che piaccia o no, siamo tutti in guerra, israeliani, ebrei e non, in una guerra che ci è stata dichiarata unilateralmente e che, soprattutto, almeno per quanto riguarda coloro i quali non sono israeliani, né ebrei, non sappiamo neppure dire con precisione perché.
Ammesso che in passato ci sia mai stato, e a questo punto sembra lecito dubitarne, il nesso causale fra la lotta per la realizzazione di un proprio Stato indipendente e gli attentati terroristici contro la popolazione civile in Israele, ora, questo nesso causale cade del tutto: il terrorismo non è lo strumento militare di una guerra di liberazione nazionale, bensì il tentativo criminale, uccidendo quanti più israeliani e ebrei è possibile, di distruggere lo Stato di Israele.
L’obiettivo del terrorismo globale e generalizzato, già manifestatosi in tutta la sua evidenza con l’attentato alle torri gemelle di New York, diventa ancora più chiaro: gettare nel terrore tutti coloro i quali, agli occhi del fondamentalismo religioso e dell’integralismo politico islamici, appartengono a religioni diverse e, in particolare, a quella cristiana, simbolo al tempo stesso della democrazia, della libertà e del capitalismo.
Ecco, allora, che in questa prospettiva, una chiave di lettura di tale ostilità ormai generalizzata a tutto ciò che appartiene al nostro mondo è forse ipotizzabile.
La definitiva liberazione e l’emancipazione della donna avvenuta nelle democrazie liberali, da un lato, rispetto allo stato di soggezione in cui l’Islam, anche quella meno radicalmente fondamentalista, tende a tenerla ancora in molti Paesi islamici, dall’altro, è il crinale lungo il quale si concreta lo scontro di civilizzazioni.
Il fondamentalismo religioso e l’integralismo politico islamico hanno ben presente il pericolo che rappresenta per il sistema di relazioni sociali fondato su una lettura «radicale» del Corano il contagioso esempio delle società in cui si è realizzata la parità fra l’uomo e la donna.
L’ondata anti-occidentalistica, che si traduce in violenza verbale, da parte delle masse, e in violenza fisica, da parte di una minoranza criminale, è, in buona sostanza, un rifiuto della modernizzazione, è l’estrema difesa di una cultura e di un costume che hanno congelato nella immobilità medioevale intere popolazioni a tutto vantaggio delle satrapie che le governano.
Dovremo convivere a lungo col terrorismo. Ci dovranno convivere gli israeliani in Israele e gli ebrei nel mondo, ci dovremo convivere tutti noi, quali che siano le nostre credenze in materia di fede.
E, quel che è peggio, tale conflitto non è risolvibile sul piano diplomatico e politico perché affonda le sue radici in valori e convinzioni pre-politici, quelli, appunto, che segnano lo spartiacque fra la modernità delle democrazie liberali e l’arretratezza di gran parte, non tutto fortunatamente, il mondo islamico.
Non è possibile alcun negoziato, non è possibile alcun dialogo politico con chi puramente e semplicemente rifiuta i nostri valori, le nostre convinzioni, il nostro modo di vita, considerandoli blasfemi dal punto di vista morale.
Con gli interessi si arriva a un compromesso, con i principi, no, almeno da parte di chi riconosce come accettabili solo i propri ed è disposto a uccidere e a morire egli stesso per preservarne l’unicità.
Le democrazie liberali riconoscono agli islamici dei nostri Paesi piena libertà di culto – all’aeroporto di Orly, a Parigi, c’è una cappella per i cristiani, una sinagoga per gli ebrei, una moschea per i musulmani –, la quasi totalità dei regimi islamici non riconosce alcuna libertà di culto ai cattolici, ai protestanti, per non parlare degli ebrei.
La creazione di uno Stato palestinese, l’imperialismo americano, la globalizzazione economica, non c’entrano niente con quello che sta accadendo.
Chi mette una bomba e fa saltare un albergo, una sala da ballo, un aereo, non compie un atto politico – che ha sempre una motivazione che in qualche modo lo spiega, se proprio non lo giustifica – ma puramente e semplicemente realizza un impulso distruttore nei confronti di uomini, donne, vecchi e bambini ai quali non riconosce quel diritto naturale che è la vita, e con essa la libertà di perseguire il proprio ideale di felicità, in nome di una concezione politica totalitaristica e clericale-religiosa della convivenza civile.
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