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E GOOGLE SI ADATTA ALLA CONCORRENZA

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Per alcuni Google, il motore di ricerca in internet più famoso al mondo è un modello da seguire, per altri è un’anomalia che si sta “normalizzando”. Vediamo perché:

L’arrivo dei “banner ads” Nulla, in teoria, dovrebbe apparire più normale: Google, il popolarissimo motore di ricerca che proprio alla pubblicità deve il 95 per cento delle sue entrate (quasi un miliardo di dollari all’anno), annuncia che s’appresta a vendere spazi pubblicitari anche “per immagini”. O, più precisamente, annuncia la sua decisione di piazzare – non nel suo sito, ma in quelli delle compagnie per le quali, in virtù della onnipresenza del suo “searching engine”, agisce come una sorta di agenzia pubblicitaria – i famosi “banner ads”.

Eppure, a fronte d’una scelta tanto apparentemente logica, quasi immediatamente si sono levate, da più parti, virulente accuse di “tradimento” nei confronti dell’impresa sulla quale – in attesa della prima offerta pubblica di azioni – sono oggi puntati tutti i riflettori di Wall Street. Perché tanto scandalo? Per una ragione ovvia e, nel contempo, paradossalmente accentuata proprio dal clima di corsa all’oro suscitato dell’approssimarsi dell’incontro tra il motore di ricerca ed i mercati finanziari.

Google – passato indenne attraverso il terremoto provocato dall’esplosione della “Internet Bubble” proprio in virtù della sua capacità di resistere al canto delle sirene del boom – è ancor oggi, per molti, se non una religione, quantomeno un veneratissimo simbolo di pulizia e di responsabilità, contrapposto all’avidità ed agli eccessi del resto dell’universo tecnologico. Ed assai forte è oggi, tra i puristi del culto, il timore che la Initial Public Offering (IPO) in programma per quest’anno, non sia che un primo cedimento – al quale altri seguiranno – di fronte alle pressioni di Wall Street. O, se si preferisce, l’avvio d’una sorta di “normalizzazione”.

Giusto? Sbagliato? Giusto, rispondono gli analisti più cinici (che sono poi la stragrande maggioranza). Perché davvero normale – tornando a bomba – è che un’impresa che vive di pubblicità on line non lasci ai rivali (soprattutto a Yahoo!, rafforzatasi in questo campo con l’acquisizione di Overture) un tanto lucroso territorio di caccia.

Secondo capitolo è quello che riguarda la mail di Google. Per qualcuno non si tratta che del rinnovarsi, in chiave cyberspaziale, dell’eterno mito del Faust. Ovvero: della vendita dell’anima al diavolo in cambio, non della sapienza e del potere come nell’opera di Goethe, bensì, più modestamente, d’un gigabyte tondo tondo di mailbox. Da riempire con posta elettronica, in entrata e in uscita, del tutto gratuita.

Fuor di metafora: poco più di una settimana fa, lanciando la sua Gmail, Google – quest’anno indiscusso primo attore della commedia tecnologica – ha offerto a tutti coloro che lo desiderino un servizio gratuito di e-mail dotato di assai generosi benefits (tra i quali, per l’appunto, una casella postale di grandi capacità). E come Belzebù ha chiesto, in cambio, la possibilità di leggere i messaggi che passano per quella medesima casella. O meglio: ha chiesto la possibilità di setacciare vocaboli, frasi e concetti alla ricerca di quello che oggi rappresenta, per i venditori di pubblicità cyberspaziale, ciò che le vecchie pepite furono, in tempi lontani, per i cacciatori d’oro.

Ovvero: quelle “parole chiave” che, in termini commerciali, definiscono la personalità di ciascuno di noi. E che, a loro volta, sono il segnale della presenza d’un giacimento da sfruttare. Per farla breve: chi sottoscrive il servizio di Gmail riceve, insieme alla possibilità di mandare e ricevere posta a piacimento, un “motore spia” che, attraverso la lettura delle espressioni più frequentemente usate, disegna il profilo dell’utente in quanto consumatore. Per poi ovviamente consegnarlo, per il più appropriato uso, nelle mani dei maghi dell’advertisment.

Il che significa che se l’utente usa con una certa frequenza la parola “fiori”, riceverà – in quella stessa mailbox che gli è stata concesso d’utilizzare gratuitamente – i messaggi pubblicitari dei fioristi che a Google affidano le proprie sorti. La cosa ha scatenato un acceso dibattito che, sul New York Times, il critico tecnologico David Pogue ha risolto con salomonica saggezza: “Se pensate che il servizio postale di Google sia una minaccia per la vostra privacy – ha scritto – non usatelo”.

La concorrenza di Yahoo! Proprio il tener testa all’agguerrita concorrenza, spinge Google a offrire nuovi servizi. Così, uno dei nomi di riferimento nel mondo del Blog sta ristrutturando i servizi agli utenti, nel tentativo di stare al passo con la concorrenza (Yahoo! In primo luogo). Parliamo di Blogger, il portale specializzato di proprietà di Google, impegnato a semplificare la vita degli abbonati, aggiungendo nuove funzioni, come un servizio e-mail per l’inserimento dei contenuti.

“Lo sforzo maggiore è stato fatto per semplificare l’ingresso in questo mondo ed espandere la base degli utilizzatori con funzioni sempre nuove” spiega Evan Williams, co-fondatore di Blogger, uno dei tanti portali di servizi gratuiti che aiutano i navigatori a condividere idee e risorse sul web, senza dover compilare codici o installare programmi sul proprio Pc ed a costi pressoché nulli. Il servizio, da quando Google lo rilevò nel febbraio 2003, non è molto cambiato ed è ancora oggi un sicuro punto di riferimento per centinaia di migliaia di appassionati.

Ma la concorrenza non è rimasta a guardare e nuovi portali sono spuntati come funghi. La novità più sostanziosa è la possibilità di contattare un blog attraverso la posta elettronica, oltre che inserendo testi nei tradizionali box per commenti e discussioni. Blogger ha anche stipulato un accordo con Hello, una compagnia che consente agli abbonati di caricare direttamente foto e con maggiore facilità.

Ci sono poi 26 nuove impostazioni grafiche, i cosiddetti ‘templates’ e pagine per una breve biografia del titolare, per stimolare i blogger a conoscersi meglio. Google non fornisce statistiche sul numero dei blogger in attività, ma all’epoca dell’assorbimento, Blogger aveva circa 200.000 abbonati. Uno dei suoi principali rivali, LiveJournal, dichiara di averne addirittura 3.082.448, la metà dei quali, cioè 1.482.196, indicati come attivi.

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