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E dopo la manovra il governo studia un Fondo taglia-debiti

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Il contenuto di questo scritto – riportato ne Corriere della Sera esprime il pensiero dell’autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

E il debito pubblico? Il ministero dell’Economia, di cui ha l’interim il primo ministro Mario Monti, sta studiando come abbattere di 100-150 miliardi il debito del Tesoro valorizzando il meglio del patrimonio pubblico. Sono stati ascoltati gli sherpa di Mediobanca, Deutsche Bank e Bnp Paribas.

Non siamo ancora agli incontri al vertice come quelli di vent’anni fa tra il ministro del Tesoro, Piero Barucci, e il banchiere Enrico Cuccia per studiare la fusione Eni-Iri o alle presentazioni ufficiali delle privatizzazioni, come quella avvenuta nel 1992 sul panfilo reale Britannia. Del tema, in verità, aveva già cominciato ad occuparsi il ministro Giulio Tremonti, ma la crisi del governo Berlusconi l’aveva fermato. D’altra parte, dal seminario del 5 ottobre gli ottimisti avevano estratto stime del patrimonio pubblico pari a 1.800 miliardi, fuori dalla realtà commerciale.

Poi, per qualche settimana, l’Italia ha pensato di domare il proprio enorme debito pubblico tornando agli anni 90, quando il bilancio statale chiudeva con un avanzo di qualche punto percentuale prima degli interessi sul debito e il Tesoro privatizzava società e partecipazioni in quantità senza precedenti in Occidente.

In particolare, la politica si è cullata nell’illusione che la crescita dell’economia avrebbe ridotto di per sé il peso del debito sul Pil. E poiché nella crisi dei titoli degli Stati più deboli dell’eurozona c’è lo zampino della speculazione globale, molto ci si attendeva dalla Banca centrale europea (Bce) e dall’Unione Europea.

Con il governo Monti, l’Italia ha avuto il rigore, non ancora la crescita. Anzi, è in arrivo la recessione. È lecito sperare qualcosa dalle riforme, se si faranno. Sarebbe imprudente, dato anche il quadro internazionale, aspettarsi troppo. Sul piano europeo, la Bce ha prestato quasi mezzo trilione di euro all’1% alle banche, scontandone gli attivi. Ma da questa operazione si pretende tutto e il contrario di tutto: troppo.

Si dice, per esempio, che tali denari debbano andare alle imprese per contrastare la recessione. Bene. E le banche questo promettono, a partire da Unicredit le cui fondazioni hanno infine deliberato l’adesione all’aumento di capitale. Ma, con le assicurazioni, le banche sono anche e da sempre le massime acquirenti di titoli del debito pubblico. E così si insinua che, senza strombazzarlo, le banche faranno pure il loro secondo lavoro, magari per approfittare della forbice dei tassi.

Con astuzia machiavellica, insomma, Mario Draghi si avvierebbe al quantitative easing dei titoli pubblici per interposte banche private. Da un punto di vista pubblico, sarebbe più logico che a sottoscrivere le nuove emissioni fosse la Bce. Ma le regole europee fanno questo regalo alle banche. Eppure…

Fino a ieri, i titoli pubblici dell’eurozona erano considerati risk free, privi di rischio. Di più: erano raccomandati dalle autorità monetarie internazionali per costituire in ogni banca i cuscinetti di liquidità indispensabili a fronteggiare le emergenze. Ebbene, come possono le banche continuare nel loro secondo lavoro se ciò che era risk free non lo è più per decisione della European Banking Authority (Eba) e del Consiglio europeo, nel silenzio della Bce e se comprando titoli pubblici rischiano nuove svalutazioni e nuovi aumenti di capitale?

L’Eba e il Consiglio europeo hanno gridato al mondo che il re è nudo, dimenticando che la civiltà si regge anche su qualche tabù. È possibile che, per continuare a vivere, il re debba rapidamente ricoprirsi, è possibile cioè che il debito pubblico dell’eurozona torni a essere considerato senza rischio nei bilanci bancari. Ma quel che è detto è detto. Non a caso il rendimento dei Btp a 10 anni è tornato a un preoccupante 7%.

Nessuno sa interpretare davvero i mercati, entità irrazionali. Perché i tassi sui Btp erano bassi quando l’Italia perdeva il 7% del Pil e sono esplosi nel 2011, anno scarso, ma non terribile come il 2009? Il fatto è che adesso si è acceso il faro sui debiti pubblici. E allora anche la quantità è entrata nel computo dei rischi. Come, del resto, accade in tutte le aziende. Accanto ai provvedimenti per la crescita, serve dunque una mazzata al debito per riportarne il costo a livelli più sostenibili.

Sulla carta le idee sono due, non necessariamente alternative: a) un consistente prelievo una tantum sulla ricchezza delle famiglie da una certa soglia in su; b) una realistica valorizzazione delle attività pubbliche in tempi stretti. La prima idea, sostenuta soprattutto dai sindacati, non è stata adottata dal governo Monti.

Che si è limitato a una somma di imposte patrimoniali (lusso, bolli, Ici) che vale quasi l’1% del Pil. Più o meno quanto chiedeva Confindustria. L’idea del prelievo straordinario potrà essere ripresa, magari con parziali compensazioni sulle dichiarazioni dei redditi future come consigliava sul Corriere il banchiere Pietro Modiano? Al momento nessuno può dirlo, anche perché nel Pdl e nello stesso Pd si nutrono molte riserve sul prelievo pesante.

La seconda idea può avere attuazioni diverse, purché immediate e senza dimenticare che non siamo più negli anni 90, con le Borse al rialzo e tutta l’argenteria ancora da vendere. Qui siamo al cesello, per incassare subito e non svendere.

Per smobilizzare gli edifici delle pubbliche amministrazioni centrali e locali, Deutsche Bank suggerisce di importare dagli Usa il modello dei Real estate investment trust, grandi fondi immobiliari con benefici fiscali ai sottoscrittori. Tra i tecnici ministeriali non si esclude di usare questa formula, che può coinvolgere i cittadini, anche per le partecipazioni (Eni, Enel, eccetera). Un fondo da 2-300 miliardi potrebbe indebitarsi per la metà dando tutti gli attivi in garanzia e ricomprare titoli di Stato approfittando delle basse quotazioni.

Mediobanca propende per la costituzione di una società, anche pubblica, alla quale Tesoro ed enti locali dovrebbero cedere partecipazioni e immobili appetibili per 100 miliardi. Questa società pagherebbe emettendo obbligazioni a un tasso assai più basso dei Btp perché garantite non solo dallo Stato ma anche dagli attivi. Queste obbligazioni verrebbero riservate a banche e assicurazioni in cambio dei loro Btp. Che il Tesoro potrebbe poi cancellare.

In ogni caso, ci vorrà sapienza politica per convincere gli enti locali a conferire case ed ex municipalizzate e, ancor più, per avere il consenso dell’Unione Europea a far uscire i nuovi debiti dal perimetro del debito pubblico. Come fa la Germania con la KfW. E ci vorrà pure il placet della Bce se saranno coinvolte le banche. Ma in ogni caso, è da queste manovre che l’Italia potrebbe emanciparsi in tutto o in parte dai colossali e pericolosi rinnovi di titoli di Stato nel biennio di ferro 2012-13. Con prevedibili e non trascurabili risparmi sui tassi.
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