Roma – La Cina, il più grande consumatore mondiale di risorse naturali, sta riducendo il numero di fusioni ed acquisizioni nel settore energia e materie prime, proprio quando il resto del mondo sta chiudendo affari di M&A relativi al settore delle commodities a ritmi che non si vedevano da prima dell’ultima crisi finanziaria del 2007, per un valore di $176 miliardi. (le americane Alpha Natural Resources e DuPont sono le aziende che hanno siglato gli accordi più grossi).
La prima con gli $8,3 miliardi per l’acquisto di Massey Energy a gennaio, mentre la seconda nel mese appena trascorso ha aumentato l’offerta per la danese Danisco A/S a $6,4 miliardi. Ma l’acquisizione più grande ha visto protagonista l’azienda di Warren Buffet Berkshire Hathaway che ha concluso con Lubrizol Corp un accordo per $9,2 miliardi.
Tra le banche d’investimento, lo scettro andrebbe a Morgan Stanley, che avrebbe fatto da advisor per ben 16 operazioni di takeover, per un valore complessivo di $55 miliardi fino ad ora. A questa seguono Goldman Sachs e Credit Suisse, rispettivamente con $46 e $35 miliardi.
Da inizi 2011 ad ora, invece, le aziende cinesi hanno speso appena $14,2 miliardi in operazioni di acquisizione, in calo del 30% rispetto allo stesso periodo lo scorso anno. La minore partecipazione al processo di acquisizioni potrebbe avere diverse motivazioni.
Guan Anping, professore alla People’s University of China, secondo quanto detto a Bloomberg, crede che il problema sia legato alle norme Usa e degli altri paesi; norme eccessivamente restrittive verso le aziende cinesi. Inoltre, a contribuire a un minore flusso di cordate, si sarebbero aggiunte le recenti rivolte nel mondo arabo, rivolte che non solo hanno scatenato il rally del prezzo delle commodities, ma che hanno anche aumentato l’incertezza negli investimenti.
Concorda Heng Kun, analista per Essence Securities: “Le barriere politiche imposte dai paesi occidentali hanno sicuramente impattato le acquisizioni delle aziende cinesi all’estero”. Ma il trend potrebbe presto cambiare, con il paese che dovrebbe premere con più forza nel lungo periodo per assicurarsi le risorse che il mercato domestico non può fornire, quali ferro, petrolio, rame e uranio.
Il fenomeno invece, secondo Richard Horrocks-Taylor, responsabile della divisione di mining investment banking per RBC Capital Markets, sarebbe un altro. “Gli acquirenti cinesi sono diventati più attenti e più scrupolosi prima di fare un’offerta”, ha detto a Bloomberg.
Giusto per riportare un dato, nel solo settore minerario, le acquisizioni cinesi si sono ridotte già dallo scorso anno, raggiungendo $4,5 miliardi rispetto ai $10 miliardi nel 2009, secondo i dati a disposizione di Ernst & Young.