Il gigantesco rumore di risucchio che sentite da anni è il rumore dei
consumatori americani che succhiano importazioni dal resto del mondo. Ciò ha
tenuto in buona salute le altre economie. Ma ha anche comportato un enorme
deficit commerciale – vicino al 5% del Pil – e un livello considerevole
dei prezzi al consumo.
Per finanziare tutte queste importazioni e mantenere
elevato il valore del dollaro, gli stranieri hanno dovuto investire in America
o prestare agli Stati Uniti circa 500 miliardi di dollari l’anno. E
l’enorme deficit commerciale è stato altresì un grosso ostacolo per
l’economia americana.
Ebbene, quei giorni potrebbero essere finiti.
Gli stranieri sono meno
entusiasti dell’idea di investire negli Usa considerato che il mercato
azionario americano attraversa un periodo di stanca. Nello stesso tempo, non desiderano prestare agli Stati Uniti ingenti quantità
di denaro tenuto presente che i tassi di interesse sono più bassi negli Usa
che in molti altri Paesi. Non c’è quindi da sorprendersi se il valore del
dollaro americano – che dopo tutto si basa sulla domanda e sull’offerta
– è in caduta rispetto alle valute straniere.
Non è ancora cominciata la
fuga dal dollaro, ma potrebbe cominciare presto.
Potrebbe cominciare presto segnatamente se i responsabili della politica
americana dessero la sensazione che sono contenti di continuare a lasciar
deprezzare il dollaro.
In occasione di una recente intervista televisiva il
ministro del Tesoro John Snow ha detto che il deprezzamento del dollaro rende
piu’ competitive le nostre esportazioni sui mercati mondiali. Ebbene, si
tratta di una ovvia verità. Ma quando un ministro del Tesoro dice una cosa
del genere e afferma che l’attuale deprezzamento del dollaro è «alquanto
modesto», volente o nolente sta inviando un chiaro messaggio a coloro che in
tutto il mondo commerciano in valute.
Il messaggio decodificato suona più o meno così: gli Usa non tenteranno di
sostenere il dollaro perché l’amministrazione Bush vuole più esportazioni. L’incremento delle esportazioni contribuirà al rilancio dell’economia
specialmente durante i 19 mesi che trascorreranno da qui alle elezioni. Alla
Casa Bianca poco importa che un dollaro deprezzato renderà le importazioni
più costose spingendo in alto la spirale dei prezzi in quanto l’inflazione
non è un problema attuale – la settimana scorsa la Federal Reserve ha messo
in guardia rispetto alla deflazione non all’inflazione.
Nè, d’altro
canto, la Casa Bianca è particolarmente preoccupata del fatto che un dollaro
deprezzato danneggerà altre economie in quanto aumenteranno i prezzi delle
importazioni dall’Europa, dal Giappone e da altri Paesi verso l’America.
In questo clima da «facciamo tutto da soli», prima viene l’America, questo
è un problema loro non nostro.
Ma potrebbe anche essere un problema nostro. Il pericolo è doppio. In primo
luogo un dollaro deprezzato potrebbe spingere nella recessione l’Europa e
altre economie in difficoltà e questa non sarebbe una buona notizia per noi
che stiamo lottando per venir fuori da una fase recessiva.
Il secondo pericolo è quello di un dollaro in caduta libera con conseguente
aumento dei prezzi e dei tassi di interesse in un momento in cui i consumatori
americani sono più vulnerabili. In politica economica come in politica estera
bisogna sempre misurarsi con la realtà di un mondo interdipendente.
L’America non può fare tutto da sola.
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*Robert Reich è stato segretario del Lavoro degli Stati Uniti durante l’amministrazione Clinton; oggi è professore di politica sociale ed economica alla Brandeis University
Traduzione di Carlo Antonio Biscotto
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