
Roma – La Bce ha bisogno a volte di adottare “misure eccezionali”, al fine di garantire che la propria politica monetaria sia efficace. E’ quanto ha detto il presidente della Bce, stando a un articolo pubblicato sul quotidiano tedesco Die Zeit, dal titolo: “Il futuro dell’euro: stabilità attraverso il cambiamento”.
Draghi però è stato più cauto stavolta, aggiungendo che l’istituto di Francoforte agirà nell’ambito dei limiti imposti al suo mandato, al fine di assicurare la stabilità dei prezzi. Detto questo, il messaggio è chiaro ed è naturale che i mercati tornino a pendere dalle labbra di Draghi. Quando i mercati finanziari sono “frammentati o influenzati da timori irrazionali, a volte è necessario andare al di là degli strumenti di politica monetaria standard”.
Draghi ha scritto che “in Europa sta avendo luogo un dibattito fondamentale sul futuro dell’euro” e che “molti cittadini sono preoccupati”, guardando a soluzioni che reputano insoddisfacenti. Ma questo avvine perchè queste soluzioni offrono due scelte: o dobbiamo tornare indietro al passato o dobbiamo muoverci verso gli Stati Uniti d’Europa. La mia risposta alla domanda è: per avere un euro stabile non dobbiamo scegliere tra estremi”.
Ecco cosa successe l’ultima volta che Draghi parlò di misure non convenzionali:
– Draghi, ma siamo sicuri sia un banchiere centrale?
– Borsa Milano crolla dopo Draghi: -4,64%. Spread sopra 500. Btp: 6,28%
– Draghi fa dietrofront: “Sono stato mal interpretato”
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ROMA – La politica monetaria a volte può richiedere misure eccezionali. Lo ha detto il presidente della Bce, Mario Draghi, in un articolo su ‘Die Zeit’ che la Bce ha pubblicato su Twitter.
“La Bce – scrive Draghi nell’articolo- farà tutto il necessario per assicurare la stabilità dei prezzi. Rimarrà indipendente. E agirà sempre nei limiti dei suo mandato”. “Tuttavia – prosegue il presidente dell’Eurotower – bisogna comprendere che la realizzazione del suo mandato a volte ci richiede di andare oltre gli strumenti ordinari di politica monetaria”. “Quando i mercati sono frammentati o influenzati da paure irrazionali, i segnali di politica monetaria non arrivano ai cittadini in maniera omogenea nell’area euro”. Secondo Draghi alla Bce “dobbiamo rimediare” ai problemi che rendono disomogenea la trasmissione della politica monetaria nell’Eurozona: “questo a volte può richiedere misure eccezionali. E questo fa parte della nostra responsabilità come banca centrale dell’intera Eurozona”.
“La Banca centrale europea – ha proseguito – non è un’istituzione politica, ma è impegnata nelle sue responsabilità come istituzione dell’Unione europea. La strada davanti a noi non può essere il ritorno allo status quo ante. La crisi ha rivelato le difficoltà dell’avere un’unica moneta con politiche fiscali, ecnomiche e finanziarie mal coordinate.
Le politiche fiscali dei Paesi dell’area euro rendono necessario “un vero controllo sui bilanci nazionali”. E “le conseguenze di politiche fiscali sbagliate in un’unione monetaria sono troppo gravi perché queste restino affidate ai singoli Paesi”.
“Per continuare a prosperare – dice ancora Draghi – la Germania deve restare l’ancora di una valuta forte, al centro di un’area di stabilità monetaria e in un’unione economica dinamica e competitiva”. (ANSA)
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SE WEIDMANN DIVENTASSE UN PROBLEMA, LA MERKEL POTREBBE FARLO FUORI
di Christian Reiermann, Michael Sauga e Anne Seith – Der Spiegel, 2012 –
Distribuito da The New York Times Syndicate – Traduzione di Carlo Antonio Biscotto per Il Fatto Quotidiano
Volker Bouffier, governatore dell’Assia, si è sempre dipinto come il tipico conservatore del partito di centrodestra (Cdu), contrario al matrimonio gay, al multiculturalismo e alla riforma della scuola e, in materia di politica monetaria, allineato con le posizioni più intransigenti della Germania. Ma lunedì scorso Bouffier sembrava un altro uomo.
Aveva invitato nella sede del governo dell’Assia il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, che da settimane si opponeva tenacemente all’ipotesi, avanzata da Draghi, di comprare quantità considerevoli di titoli di Stato spagnoli e italiani. A sorpresa il presidente dell’Assia ha detto a Weidmann che la scala delle sue priorità era cambiata.
Naturalmente Bouffier è ancora un fautore della stabilità dei prezzi, ma ha fatto osservare a Weidmann che sui mercati internazionali si respirava un’aria diversa e che l’intervento della Bce era ormai inevitabile. “Non ci sono più strumenti politici a disposizione”, ha concluso rendendo sempre più isolata la posizione del governatore della Bundesbank.
Sono mesi che il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, il presidente francese, François Hollande e il primo ministro britannico, David Cameron, esercitano forti pressioni su Weidmann affinché abbandoni la sua linea di intransigenza nei confronti della Banca centrale europea.
Ora gli stanno voltando le spalle anche alcuni ex alleati, prova ne sia che di recente alcune potenti banche private tedesche sono scese in campo a sostegno di Draghi. Weidmann ha risposto dicendo che “gli aiuti della Bce possono diventare come una droga che dà assuefazione e non risolve il problema”.
I trattati in vigore impediscono alla Bce di finanziare il deficit di bilancio degli Stati membri e quindi nel caso prevalesse la linea Draghi, i banchieri centrali perderebbero il controllo sui flussi monetari a medio termine e si potrebbe riaffacciare lo spettro dell’inflazione.
Ma i politici europei che sono decisi a salvare l’euro costi quel che costi sono disperati perché dopo 17 vertici economici non sono ancora riusciti a trovare una soluzione. È quindi comprensibile che ora inneggino a Draghi sollecitandolo a fare quello che a loro non è riuscito.
Eurobond mascherati
La realtà è che l’acquisto di titoli di Stato da parte della Banca centrale europea è, secondo gli esperti di politica monetaria, l’equivalente di quegli eurobond che la cancelliera Angela Merkel ha giurato di non accettare mai. Eppure Angela Merkel si è affrettata a dichiarare che Draghi gode del suo pieno appoggio. Weidmann vuole che i Paesi colpiti più duramente dalla crisi escano dalla moneta unica, la Merkel intende invece salvare l’unione monetaria a tutti i costi.
Già a luglio, parlando a Londra, Draghi – senza consultare il Consiglio della Bce – aveva annunciato l’intenzione di fare tutto quanto in suo potere per salvare l’euro. Contemporaneamente, Angela Merkel e il suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, avevano lodato pubblicamente il pacchetto economico italiano sottolineando che l’annuncio di Draghi aveva già fatto sentire i suoi effetti positivi riducendo lo spread sia dei titoli italiani che di quelli spagnoli.
Nell’entourage della Merkel e di Schäuble si liquida l’intransigenza di Weidmann con una alzata di spalle e, in privato, Angela Merkel mostra poca simpatia nei confronti del “fondamentalismo” del suo ex consigliere. Comunque sia, le conseguenze della strategia della Banca centrale europea possono essere fatali. L’esperienza dimostra che drogare i mercati finanziari può portare ad un rialzo dei prezzi e ad una vampata inflazionistica. Weidmann inoltre sospetta che la Bce contribuisca indirettamente a finanziare il deficit dei Paesi in crisi, in violazione dei trattati europei.
In risposta a queste critiche, Draghi vuole imporre severe restrizioni in materia di acquisto di titoli di Stato, ma così facendo lega sempre più al mondo politico le sorti della Bce. Sarebbe più saggio attendere che la politica faccia prima il suo dovere.
Come piegare l’Italia
Gli esperti del ministro delle Finanze Schäuble riconoscono che è in pericolo l’autonomia della Banca centrale e stanno cercando delle soluzioni. Da un lato non si può imporre a Italia e Spagna di chiedere l’intervento del fondo salva-Stati senza impegnarsi ad attuare le riforme richieste, dall’altro un impegno volontario, magari preso con la Commissione europea, non sarebbe altrettanto vincolante.
Comunque si dovesse concludere questo braccio di ferro, resta il fatto che l’acquisto di titoli di Stato da parte della Bce consiste nel far rientrare dalla finestra gli eurobond cacciati dalla porta. Lo sostiene anche Sigmar Gabriel, presidente dell’Spd.
Inoltre, molti mettono in dubbio l’efficacia della strategia di Draghi sul lungo periodo. Tra il maggio 2010 e i primi mesi del 2012, la Bce è intervenuta sui cosiddetti mercati secondari comprando in totale 211 miliardi di euro di debito sovrano italiano, spagnolo e greco.
Risultati? Pochi ed effimeri. Altrettanto inefficace potrebbe rivelarsi il nuovo programma di Draghi, avverte l’economista di Oxford, Clemens Fuest, consigliere del governo Merkel: “Se gli investitori sono convinti che un dato Paese è sull’orlo della bancarotta, nemmeno l’intervento della Banca centrale può cambiare le cose”. Non dissimile il parere di Andrew Bosomworth, responsabile per la Germania di Pimco, il principale investitore mondiale in titoli pubblici: “Il programma così com’è concepito attirerà solo gli speculatori”.
Altri critici ritengono che il programma della Bce non sia nemmeno necessario in quanto gli indicatori economici dei Paesi in crisi sono già in fase di miglioramento. Non è una posizione priva di senso. Nei Paesi dell’Europa mediterranea il deficit pubblico è in fase calante e in Irlanda si segnala già un avanzo primario mentre in Spagna e in Italia è in vista il pareggio di bilancio. Resta la Grecia che però ha tagliato di quasi due terzi il proprio deficit.
La linea degli ottimisti
Gli ottimisti sostengono che le buone notizie provenienti dagli altri Paesi avranno prima o poi un effetto positivo sui mercati. In tal caso tornerà la fiducia nell’euro e i Paesi oggi in difficoltà potranno ottenere prestiti sui mercati, con la sola probabile eccezione della Grecia, senza dover ricorrere al fondo salva-Stati. Naturalmente sempre che vada avanti il processo di riforme.
Chi prevarrà? Non è ancora chiaro. Le proposte verranno discusse dal Consiglio della Banca centrale europea ai primi di settembre e a quel punto si tratterà di convincere Weidmann. Una cosa è certa: se Weidmann diventerà un problema, Angela Merkel lo silurerà come ha fatto con tutti quelli che hanno tentato di mettersi sulla sua strada.