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Mario Draghi smonta la Finanziaria pezzo per pezzo. Il governatore della Banca d’Italia, intervenuto ieri davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, è entrato a gamba tesa nel dibattito sulla manovra per il 2007 stroncando l’intero pacchetto messo a punto dal governo Prodi: la manovra presenta «aspetti problematici», è troppo sbilanciata sulle nuove entrate e non tocca la spesa pubblica.
Ma l’attacco più duro è diretto al trasferimento di una fetta del Tfr all’Inps. Un’operazione, ha spiegato senza mezzi termini il governatore, che non porta risorse aggiuntive, ma «costituisce di fatto un prestito, con un onere implicito per il bilancio pubblico potenzialmente superiore a quello dei titoli di Stato». In altre parole, utilizzare il Tfr «fa registrare un minore indebitamento ma comporta un costo» da pagare nel tempo. E i pericoli riguardano anche le imprese, «soprattutto quelle di minori dimensioni, che possono avere problemi di liquidità».
Un messaggio cui Luca Cordero di Montezemolo non ha voluto far mancare il suo contributo ribadendo, dalla trasferta di Helsinki, la «grande distanza tra imprenditori e governo» e dichiarandosi sorpreso «del silenzio dei sindacati su una decisione forzosa sul denaro dei lavoratori».
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Ma le bordate di Draghi alla Finanziaria non sono affatto finite. Il governatore ha voluto anche lanciare l’allarme sulle disposizioni fiscali, che quest’anno anno faranno lievitare la pressione tributaria dello 0,8%, il prossimo dello 0,5 e lasciano profonde incertezze sul gettito derivante dalla lotta all’evasione. Quanto alla spesa pubblica, Draghi ha messo nell’angolo il governo lamentando l’assenza di «riforme strutturali» sul fronte della scuola, del pubblico impiego e della previdenza.
Ma proprio l’anticipo della riforma previdenziale al primo gennaio 2007 preoccupa Assogestioni, che auspica l’avvio contestuale di un pari trattamento tra le forme pensionistiche complementari. E su un altro fronte, quello delle tassazione delle rendite finanziarie, l’associazione del risparmio gestito ha chiesto ieri al Parlamento di cancellare le disparità di trattamento tra fondi italiani ed esteri prima di innalzare l’aliquota al 20 per cento.
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Pure Draghi
Cosa significano le critiche del governatore di Bankitalia alla Finanziaria
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(WSI) –
Ieri pomeriggio, dare un contributo alla demolizione della legge finanziaria è toccato all’autorità economica indipendente più prestigiosa, al governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi – per formazione economica e prassi di governo prossimo alla componente più avanzata (e borghese, nel senso che intenderebbe Tommaso Padoa-Schioppa: colta e internazionalizzata) di questa maggioranza.
Non è mancato un riconoscimento sui saldi (“direzione giusta”, ha detto), e sulla riduzione dell’Irap, ma sul resto è stato molto duro. Secondo il governatore è un errore modificare troppo spesso il sistema fiscale (in questo caso si è intervenuti su no tax area, aliquote e detrazioni), inoltre la manovra è basata interamente sulle entrate, c’è il rischio di addizionali locali, non ci sono misure strutturali sulla spesa (bisogna intervenire sull’età pensionabile) e l’intervento sul Tfr metterà a rischio la liquidità delle imprese.
Non stupisce la franchezza dei giudizi di Draghi: ma il fatto che siano così simili alle osservazioni avanzate da quella parte dell’opposizione non colpita dalla retorica della macelleria sociale, e alle critiche di molti altri osservatori indipendenti, dovrebbe costituire a questo punto un segnale preoccupante per il governo di Romano Prodi.
Questa è la Finanziaria meno difesa che si ricordi, criticata da Draghi, dal presidente della Corte dei conti Francesco Staderini e dal presidente dell’Istat Luigi Biggeri. Il governo reagisce alle critiche con una vaga disponibilità a modificare la legge, ma non fuga la sensazione che a Palazzo Chigi la linea politica sia quella di una sopravvivenza un po’ spocchiosa.
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