Società

DRAGHI E BCE: C’E’ CHI SFIDA IL SILENZIO

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L’ articolo che segue e’ pubblicato per gentile concessione del blog chicagoblog. Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Desidero ringraziare pubblicamente Ferruccio De Bortoli, per il suo editoriale stamane sul Corriere della sera. Ero il solo giornalista italiano ad aver posto – qui sul nostro blog e sui tre quotidiani del gruppo Caltagirone, Messaggero, Mattino e Gazzettino – il problema della candidatura di Mario Draghi alla presidenza della BCE. Candidatura che si gioca nelle prossime due settimane visto che all’Ecofin del 15 febbraio si decide il vicepresidente della BCE, e se passa il candidato portoghese è game over, con presidenza impossibile nel 2011 per un altro banchiere centrale della fascia eurosud. La decisione di De Bortoli di schierare il Corriere, e di firmare lui stesso l’editoriale, riconcilia almeno per un giorno con la stampa itaiana. Perché? Bisogna dirlo, il perché. E’ lo stesso che riguarda un paio di altre grandi vicende italiane che passano sotto totale silenzio, o quasi.

Naturalmente, non siamo qui affatto più bravi di tutti i colleghi. Non è che io abbia antenne a Francoforte e Bruxelles che manchino ai grandi giornali italiani. Le mosse preparatorie della successione a Trichet sono seguite da grandi giornali europei da almeno sei mesi. Ft e Ft Deutschland, Figaro, Les Echos, Telegraph, Times, Faz. Basta fare una ricerca, e troverete decine di articoli. Nei quali si segnala il come e il perché i tedeschi vogliano alla guida della BCE Axel Weber d’accordo coi francesi. Mentre la candidatura portoghese alla vicepresidenza brucia Draghi. La domanda è: come mai nessun grande giornale italiano aveva considerato utile occuparsi della faccenda che riguarda il governatore di Bankitalia, e il resto d’Europa sì?

La risposta è: perché nella stampa italiana oggi molti preferiscono evitare di toccare temi che possano provocare pericolosi e temibili mal di pancia. Non succede nella politica. Ma nell’economia sì. E’ la regola pressoché ferrea. Personalmente so anch’io bene che sollevare il tema della candidatura Draghi non può, per esempio, piacere al ministro Tremonti. Parlarne non tocca certo i meriti di Tremonti. Ma sappiamo tutti che invece, facendolo, si urtano sensibilità. Sapevo che scrivendone mi sarei esposto alla reazioni. Che sono puntualmente arrivate. Ma se uno fa questo mestiere con un minimo di dignità, si tratta di reazioni che deve mettere in conto e andare avanti. Per questo plaudo a De Bortoli. Il suo editoriale coglie nel segno, secondo me, quando dice che l’Italia rischia di rimpannucciarsi nel tradizionale e silenzioso compiacimento della puntuale bocciatura europea dei propri acerrimi avversari in patria.

Poichè torno sul tema, ne approfitto per rispondere alle obiezioni venute alla proposta. Personalmente, non considero affatto l’esperienza in Goldman Sachs di Draghi, dopo la guida della direzione generale del Tesoro, come un bias che lo renda solo per questo “agli ordini” delle grandi banche d’investimento. Per la conoscenza che ho di lui, è stato il modo per comprendere “dal di dentro” tecnicalità e rischi della finanza ad alta leva e di quella derivata: il punto irrisolto che oggi spinge Obama alla repentina uscita polemica contro le grandi banche USA, tema sul quale la penso come Zingales. Disciplina del capitale di vigilanza e dei coefficienti patrimoniali diversificata per titpo di impiego de capitale intermediato – distinguendo impieghi commerciali dal proprietory trading – sono per me una soluzione da preferirsi al ritorno al passato, cioè alla nostra legge bancaria del 1936 o al Glass-Stegall Act. Aggiungo, inoltre, che se proprio devo guardare alla polemica italiana, considererei addirittura preferibile per il governo spedire Draghi in carrozza a Francoforte. Ma per me il punto non è questo: bensì sollevare con forza il tema dell’intollerabilità dell’atteggiamento sin qui seguito dai tedeschi, sugli attivi patrimoniali delle proprie banche.

Quanto a come sia diffuso nel giornalismo economico odierno in Italia l’”evitare di spiacere a chi può”, basti pensare a un paio di altre vicende. Il ritorno alla fusione Autostrade-Abertis. E soprattutto l’ipotesi Telefonica-Telecom Italia. Entrambe, negli anni alle nostre spalle, infuocarono il giornalismo e la politica italiana. Oggi appaiono come bagliori su qualche media, solo per riscomparire nella più fitta vnebbia l’indomani. Eppure tutti sappiamo che le trattative sono buon punto, su due asset che nel panorama asfittico dell’economia e del capitalismo nazionale non è che siano proprio secondari. Lo dico senza alcuna tentazione di impancarmi a maestro di nessuno. E’ una mera contatazione, sulla quale ognuno è libero di pensarla come crede. Io, e noi qui, siamo l’ultima ruota del carro. Ma una ruotina fiera di dirla come la pensa. Se e quando sbagliamo, nessuno può pensare che lo stiamo facendo in conto terzi.