*Ugo Bertone e’ il direttore responsabile di Finanza&Mercati. Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.
(WSI) –
I fulmini d’estate erano attesi.
Sia quelli legati ad Antonveneta,
ormai più storici che rilevanti
per gli assetti della finanza
italiana (ma non per la politica);
sia quelli parmensi, effetto
di una nube che aleggiava da anni
sul capo di Cesare Geronzi,
transitato egualmente ai vertici
di Mediobanca.
Non era previsto
che il caso (o una regìa efficace)
facesse coincidere la
«stangata» con l’invio in Parlamento
dell’autorizzazione a utilizzare
le intercettazioni delle
conversazioni di Giovanni Consorte
con Piero Fassino e Massimo
D’Alema. Non era prevedibile
che i magistrati, soprattutto
il gup di Parma, «caricasse» la
sua richiesta nei confronti di Geronzi
con tinte così forti. Al punto
che il caso (ma stavolta caso
non è) fa sì che i legali del nuovo
dominus di piazzetta Cuccia
abbiano deciso di sfidare l’accusa
direttamente in Cassazione,
eccependo (come fanno i politici
intercettati) che gip e gup
non possono giudicare in anticipo.
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Insomma, le richieste dei
pm non dovrebbero per ora spostare
gli equilibri, soprattutto
quelli faticosamente raggiunti
in Mediobanca. Ma il fulmine è
più violento del previsto. E non
sarà facile ignorarlo, soprattutto
in una realtà, Mediobanca,
che sta assumendo un ruolo meno
autarchico. Guai, con tutto il
rispetto per l’italianità, a voler
ignorare i pareri altrui (Fazio
docet).
Ma quel che nessun regista
poteva prevedere è che l’ora della
«stangata» coincidesse con la
prima vera crisi dell’era Draghi:
Italease. Il governatore ha
l’occasione per mettere in pratica
strumenti nuovi e antichi per
garantire sia la solidità dell’impresa
che i diritti delle controparti.
Ma anche per colpire alla
radice le patologie in casa propria.
Il fatto che Italease abbia
potuto operare in un settore così
delicato senza autorizzazione
specifica dimostra che i «buchi»
in Banca d’Italia sono rilevanti.
E non addossiamo, per favore,
la colpa ad Antonio Fazio che
ne porta, semmai, una responsabilità
politica. Stavolta, è importante
che Banca d’Italia non
s’assolva in via preventiva, magari
per rispetto della santità
dell’istituzione. Se ci sono stati
errori, qualcuno paghi per incompetenza.
Se c’è stato qualcosa
di più, si faccia interventire
chi di dovere. Il caso vuole
che l’ultimo scandalo sfiori ancora
una volta il settore delle Popolari.
Era successo ai tempi
delle battaglie di Lodi, così come
in occasione dei problemi di
Intra. Sembrava che il matrimonio
tra la Bpi e la Popolare di
Verona segnasse una svolta.
Invece, gli ex azionisti della Lodi
pagano un prezzo: chissà se
lo pagheranno i periti scelti per
la fusione, al solito assai ben retribuiti.
Si sono consumati, intanto,
fiumi di carta per celebrare
le sinergie tra Bpm e Bper. Si
sa come è andata a finire. Insomma,
il sistema cooperativo perde
colpi. E’ solo un caso, oppure
è il momento di dichiarare esaurita
la funzione di banche sul territorio
sostanzialmente autoreferenziali?
Prima, potrebbe ribattere
un maligno, aspettiamo
di vedere se il fiume dei derivati
si fermerà alle porte di Verona
senza investire altre aziende di
credito che hanno usato a piene
mani di questi strumenti. Aspettiamo
di capire perchè la grande
Unicredit continua a essere bersaglio
di tante vendite in Piazza
Affari al punto da rendere conveniente
il recesso consentito dalla
fusione con Capitalia. Ma, soprattutto,
non perdiamo di vista
il problema. O si salva la formula
cooperativa (che in Europa
non è certo tramontata) o si passa
alla spa. Non si usino pretesti
per favorire nuovi soci «autoreferenziali
», come le Fondazioni.
Altrimenti sarà l’8 settembre,
non il 25 luglio.
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