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DOVETE GETTARE LA SPUGNA

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(WSI) – Ho settantatrè anni compiuti e sono andato a votare per la prima volta quando ne avevo poco più di ventidue. Era il 25 maggio 1958. Il segretario della Dc si chiamava Amintore Fanfani. Quello del Pci Palmiro Togliatti. Mentre Pietro Nenni guidava il Psi. Ricordo una campagna elettorale molto dura. Lo slogan della Dc, ispirato al boom economico, era “Progresso senza avventure”. Ma la Balena Bianca bastonava il Pci per come si era mosso durante l’insurrezione ungherese del novembre 1956.

Anch’io, studente di Scienze politiche, ero indignato con il Pci per la tragedia di Budapest. Lo consideravo un partito servo di Mosca. E non ebbi incertezze nel votare per i socialisti. Il Psi ebbe il 14,2 per cento dei voti. Il Pci il 22,7. La Dc il 42,3. Mi ritrovai contento della mia scelta quando il 15 giugno vennero fucilati dai sovietici Imre Nagy, più altri dirigenti dell’insurrezione ungherese. E alla Camera il comunista Pietro Ingrao ne giustificò l’esecuzione. Nel mio giro di amici ci dicemmo: «Fanno schifo questi comunisti! Meno male che c’è Nenni».

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Pure negli anni successivi gli scontri elettorali furono sempre duri. Ma ogni volta condotti sul terreno della politica o della ideologia. C’erano anche in ballo gli interessi dei diversi ceti sociali, però tutto restava nella normalità. A parte l’anomalia del Pci, passato da Togliatti a Longo e poi a Berlinguer, che non voleva decidersi a diventare un partito socialdemocratico.

Certo, le asprezze erano davvero tante. Però non ricordo una campagna elettorale orrenda come quella di oggi per l’Europa e per il governo di comuni e province. Ogni giorno mi domando su che cosa dovrò votare fra una settimana. Sulla storia fra il Cavaliere e una ragazza napoletana? Sulle invettive di un trinariciuto bianco come il leader del Partito democratico? Sugli allarmi dei dipietristi che urlano al ritorno del fascismo? Sul complotto che magistrati rossi e giornali sinistri starebbero attuando contro il premier per farlo secco? Confesso di essere sempre più incerto. E sempre più spaventato.

Dopo le ultime elezioni parlamentari del 2008, speravo che la vittoria netta del centro-destra ci avrebbe garantito sino al 2013 un governo stabile. In grado di affrontare i molti problemi pesanti di un’Italia sempre più scassata, alle prese con la devastante crisi economica mondiale. Ma mi accorgo che non è così.

La mattina i giornali mi portano in casa un paese che non riconosco più. E soprattutto una lotta politica di livello sempre più basso, umiliata e umiliante. Con il sesso che la fa da padrone e sembra in grado di decidere chi sarà a vincere e chi a perdere. È una sbobba difficile da ingoiare. Costringe anche noi giornalisti a rivoltarci nella melma. Dal momento che la stampa è, per forza di cose, lo specchio del paese che deve raccontare.

Ecco perché sono sempre più intimorito. E mi domando che cosa accadrà dopo il voto. Se Berlusconi stravincerà, sarà fatalmente indotto a fare terra bruciata di un’opposizione sconfitta e stremata. Il come non lo so. Forse creando le condizioni per lo scioglimento della Camere e ritornare alle urne, nella speranza di ottenere un plebiscito che gli tolga dai piedi ogni avversario.

Se il Cavaliere vincerà di misura, perdendo per strada un po’ di voti, avrà un diavolo per capello, vero o finto che sia. Anche perché si troverà alle prese con le prime, vere incrinature del suo blocco e soprattutto del suo carisma. È facile immaginare che gli scoppierà il fuoco in casa. Con molti amici pronti ad approfittarne. A cominciare dall’amico-nemico che gli sta alle costole da un pezzo: Gianfranco Fini.

Il presidente della Camera non si limiterà più a fare la suocera del premier. Il suo gioco diventerà sempre più azzardato. Con uno scopo ormai evidente. Quello di far cadere la coalizione di centro-destra e sostituirla con un governo di unità nazionale per fronteggiare la crisi sociale. Un governo guidato da lui medesimo: Fini for president!

Infine, se il Pd di Franceschini si salverà arrivando alla soglia del 30 per cento dei voti, l’opposizione andrà ai materassi, come succedeva nel “Padrino” ai clan in battaglia. Dario il Miracolato resterà alla guida del partito. E renderà sempre più rovente lo scontro con Berlusconi. Dirà agli oppositori interni: avete visto?, la mia guerra totale paga, dobbiamo continuarla sino alla distruzione del Caimano. A quel punto non ci saranno limiti all’offensiva del Pd. Franceschini sbroccherà ogni giorno, con la furia del crociato che deve sterminare gli infedeli. Meritandosi un posto in Paradiso.

Anch’io come tanti altri elettori mi domando se l’Italia sarà in grado di sopportare questo perenne stato di guerra. Ci aspettano mesi molto difficili. La sinistra antagonista sta già combattendo nelle strade. In luglio con il G8 all’Aquila la guerriglia promette di diventare sempre più dura. L’intervento sul post-terremoto in Abruzzo si farà difficile, con tante promesse che sarà arduo mantenere. In autunno la crisi economica risulterà davvero feroce, con molte più aziende in crisi e migliaia di senza lavoro.

Siamo sull’orlo di un baratro? Non sono in grado di dirlo. Ma so una cosa. La barbarie di questa campagna elettorale non può continuare. I due blocchi che si combattono devono trovare un accordo e deporre le armi. È indispensabile un disarmo generale. Prima del voto e, soprattutto, dopo il voto. Qualunque sia il risultato. Scherzare col fuoco diventa sempre più rischioso. Se l’incendio divampa, non ci sarà scampo per nessuno.
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