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(WSI) – «Cosa fare se Greenspan muore all’improvviso? Dovremmo impagliarlo, mettergli un paio di occhiali neri e tenerlo dritto dietro la sua scrivania il più a lungo possibile». La vecchia battuta del senatore John McCain è affiorata spesso nelle discussioni sul cambio della guardia alla Federal Reserve. Sostituire un leader carismatico che ha ottenuto grandi risultati è sempre difficilissimo.
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A Ben Bernanke, scelto ieri dal presidente Bush per rimpiazzare Greenspan alla fine di un regno durato quasi 19 anni, viene proposta un’impresa addirittura proibitiva: sostituire un insostituibile. Greenspan è l’icona vivente del capitalismo globalizzato, il personaggio che è riuscito a pilotare l’economia americana e – in buona misura – quella mondiale, attraverso tempeste finanziarie (la prima esplosa nel 1987, appena insediato), crisi energetiche, attacchi terroristici, una trasformazione epocale dei sistemi economici e l’apertura dei mercati.
Non che tutte le ciambelle gli siano riuscite col buco: l’uomo che ha assicurato agli Stati Uniti il più lungo periodo di crescita del ventesimo secolo (con solo due brevi recessioni) e bassa inflazione, da qualche tempo ha perduto il tocco magico. L’economia continua a crescere, ma ora si moltiplicano anche i fattori di instabilità: «bolla» immobiliare, bassissimo livello di risparmio con le famiglie americane molto indebitate, impennata dell’inflazione. E lo stesso Greenspan ha confessato qualche settimana fa al ministro delle Finanze francese, Breton, di temere che i conti pubblici degli Usa stiano finendo fuori controllo.
Ma, benché recentemente criticato anche da chi lo chiamava «Maestro», Greenspan è sempre rimasto un faro insostituibile, proprio per la sua presenza rassicurante e la capacità di gestire le crisi – come la «bolla» finanziaria della «new economy» alla fine degli anni Novanta – con molto pragmatismo, evitando strette recessive.
Anche se non è un suo «fedelissimo» e se è considerato meno flessibile di Greenspan sull’inflazione, Bernanke è – tra i personaggi nella «rosa» di Bush – quello che più garantisce stabilità e una successione nella continuità. Forse i mercati avrebbero preferito un Robert Rubin repubblicano, un esperto di finanza come il ministro del Tesoro di Clinton. Ma i repubblicani non hanno una figura simile. Bush ha così scelto un vero banchiere centrale, repubblicano ma abituato all’indipendenza di giudizio; un liberale favorevole al taglio delle tasse senza essere per questo un «fondamentalista» del mercato.
Raccoglierà un’eredità difficile in un mondo che affronta realtà economiche sempre più complesse. Basti pensare che a gennaio, proprio mentre Bernanke si insedierà alla Fed, comincerà ad andare in pensione la generazione del «baby boom» del Dopoguerra.
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