Roma – Fino al 18% in meno in busta paga rispetto ai colleghi maschi. E’ questo il costo della discriminazione sessuale sul posto di lavoro in Italia, secondo uno studio del Cnel che denuncia che il gap retributivo va dal 10 al 18% dello stipendio e che è particolarmente alto tra le lavoratrici statali meno scolarizzate (pari a circa il 20% del totale) e tra gli operai specializzati (20,6%).
Dalla ricerca, condotta su 10mila lavoratori e lavoratrici in Italia, emerge che il differenziale retributivo di genere misurato sul salario orario dei soli lavoratori dipendenti è pari in media al 7,2%. E che il gap retributivo per le lavoratrici dipendenti risulta particolarmente elevato in alcuni ambiti: oltre alle donne meno scolarizzate che toccano quasi il 20%, si mantiene oltre il 15% per chi possiede la licenza media. Ne soffrono sia le giovanissime (8,3% di penalizzazione rispetto ai coetanei) che le lavoratrici adulte (12,1%), mentre è più contenuto nella fascia di età compresa tra 30 e i 39 anni (3,2%).
La forbice retributiva di genere appare meno pronunciata nel Sud mentre, in termini di caratteristiche dell’occupazione, si rileva una marcata differenza di genere nelle retribuzioni medie orarie degli operai specializzati (20,6%), degli impiegati (15,6%), dei legislatori, dirigenti ed imprenditori (13,4%).
Particolarmente elevata è anche la penalizzazione delle donne impiegate in professioni non qualificate rispetto ai loro omologhi di sesso maschile (17,5%). In termini settoriali, si registra una forte differenza nelle retribuzioni medie orarie di uomini e donne impiegati nei servizi finanziari e quelli alle imprese (rispettivamente 22,4% e 26,1%), nell’istruzione e nella sanità (21,6%), nella manifattura (18,4%).
L’italia e’ penultima in Europa a livello di tasso di occupazione delle donne, dietro anche alla Grecia e davanti solo a Malta. C’è poi “il tetto di cristallo”, quella sottile, trasparente ma robustissima pellicola che divide le donne dai posti che contano, li possono sfiorare ma mai afferrare.