Società

DONNA VA BENE,
MA NEONAZISTA
E’ TROPPO

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(WSI) – D’accordo, in Italia esiste un problema di rappresentanza politica delle donne. Sono poche, poco visibili e relegate in ghetti appositi: ieri angeli del ciclostile e riposo dei leaderini, oggi custodi delle “pari opportunità” e, quando va bene, portavoce del leader.

La questione è seria. II problema è evidentemente sociale e culturale, del perché le donne che sono maggioranza del corpo elettorale non votano altre donne, del perché questo è il paese dell’occidente avanzato con il minor tasso di occupazione femminile, e tante altre questioni che non è questa la sede per affrontare. Ma intanto come si fa ad aumentare la partecipazione femminile nella politica? Risposta (politicamente) corretta: con le quote, le riserve al femminile, i ghetti in gonnella.

Ora, per quanto ci riguarda, il dibattito su quanto le quote siano la risposta giusta al problema lo consideriamo chiuso da quando un anno fa, alle elezioni di quattro consiglieri extracomunitari aggiunti al comune di Roma, il più votato dei candidati (ripetiamo: il più votato) dovette cedere il posto a una donna per un assurdo regolamento elettorale. Si dirà: un caso estremo. No, perché la logica delle quote è antidemocratica e soprattutto antimeritocratica anche nell’ordinaria amministrazione. «Ci deve stare una donna», è la parola d’ordine del politically correct quando si tratta di mettere insieme una squadra. E poco importa se alla fine si chiude al ribasso sulla qualità. Si deve fare, salvo poi ammettere a microfoni spenti che il risultato, certo, è un po’ raffazzonato. E siccome parliamo soprattutto della sinistra, ai riformisti diciamo: decidetevi, o la meritocrazia o le quote (non è che a destra le cose vadano meglio, è che quando non ci si pone nemmeno la domanda non si possono dare risposte sbagliate).

Peggio ancora delle quote, è il lobbismo rosa. L’ultimo esempio sta in un intervista di Livia Turco al Corriere della sera di ieri. Argomento: Alessandra Mussolini e i vantaggi indiretti che il suo movimento procura al centrosinistra. Ora, che la Turco sia amica della Mussolini, è un fatto privato. Che abbia trovato in passato terreno per battaglie comuni, è pane quotidiano della politica. Ma che l’ex ministro ds arrivi a rallegrarsi che la Mussolini sia leader di Alternativa sociale, perché così finalmente c’è una donna a capo di un partito, è un esempio perfetto delle distorsioni provocate dal trasversalismo parafemminista.

La Turco ha un solo rammarico: «Mi dispiace che sia scivolata così a destra»? Così a destra? Ma ha idea Livia Turco di cosa è Forza nuova, uno dei partiti che compongono il cartello di Alternativa sociale? Non parliamo qui dei saluti romani che fanno da coreografia agli appuntamenti del movimento, ché paragonati al resto è folclore (e peraltro chi scrive è contrario alla legge Mancino e in generale al principio che le opinioni possano essere reato).

Parliamo di cose un po’ più gravi: del razzismo, dell’amtisemitismo, del negazionismo che costituiscono il nerbo ideologico delle truppe della Mussolini. Lo sa Livia Turco (e, prima ancora di lei, chi nel centrodestra insegue alleanze con la Mussolini) chi sono in Europa gli interlocutori della nipote del duce e del segretario forzanovista Roberto Fiore? Non è difficile scoprirlo. C’è anche il quadretto fotografico sul sito ufficiale del partito: a fianco di Alessandra compare, sorridente e pacioso, l’hitleriano Udo Voigt, leader della Npd, il partito neonazista tedesco, uno al cui confronto Jean-Marie Le Pen è un giscardiano.
Ma la logica delle quote riservate, delle lobby rosa e dei cartelli trasversali va oltre questi particolari. La lobby rosa si rallegra che ci sia una donna, a capo della fogna.

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