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DOLLARO, COME SCOMMETTERE
SUL VERDE

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(WSI) – Vale la pena puntare sui bond in dollari? Sì, ma con giudizio. Fermandosi al 3% se il rischio vi fa difetto, non superando il 15% se invece il coraggio non manca. Per le emissioni più lunghe, come la Republic of Austria 2013 , i rendimenti dei dollari arrivano al 4,35%, vale a dire lo 0,94% in più dell’omologo Btp. Mentre con le scadenze più brevi, come la Total 2009 , che offre il 4,20%, il differenziale con i Btp si spinge addirittura all’1,60%. La risalita dei tassi americani, insomma, comincia a fare la differenza rispetto ai titoli europei. Ma la vera scommessa, si sa, è valutaria. Le altalene del biglietto verde, sempre debole, sono la tentazione (o la dannazione) di chi si domanda che fare.

A fine giugno scorso, quando la politica monetaria della Federal Reserve cambiò di segno, passando da espansiva (tassi in calo) a restrittiva (tassi in rialzo), bastavano 1,2199 dollari per acquistare un euro, mentre ora ne occorrono circa 1,28. Ma il peggio è passato? Il dollaro è sceso. Rispetto all’euro del 21,55% nel 2003, dell’8,17% nel 2004, mentre si è apprezzato del 5,50% circa da inizio 2005.

La quotazione minima del dollaro si è vista il 30 dicembre 2004, quando per acquistare un euro ci volevano 1,3666 dollari. E pensare che, poco più di due anni prima, il 26 ottobre 2000, ne bastavano 0,823. Fra il valore massimo del dollaro e quello minimo lo scostamento è del 60% circa per chi vede il mondo con l’euro nel portafoglio.

Ma allora è giunta davvero l’ora di scommettere su un rinvigorimento del dollaro? Oppure no? Un corretto rapporto di cambio tra euro e dollaro sarebbe, a parere di molti cambisti, la parità. In pratica la quotazione della moneta unica europea dovrebbe scendere del 23% circa. E’ ipotizzabile? In teoria la quotazione del dollaro avrebbe maggiori possibilità di salire nei confronti dell’euro perché le aspettative di ripresa dell’economia americana sono molto più consistenti di quelle immaginabili per l’area euro. I prossimi referendum, in Francia e in Olanda, sulla Costituzione europea non hanno un esito scontato: se la risposta fosse negativa, la moneta unica potrebbe risentirne negativamente. Non a caso nel breve periodo qualcuno pronostica correzioni dell’euro proprio legate a paure sul verdetto franco olandese.

Più incerte le valutazioni a medio-lungo periodo. Perché le ragioni principali della svalutazione della moneta americana sono l’incedere dell’indebitamento pubblico e l’assenza di una strategia politica volta a ridurne la crescita. Questi due aspetti, al momento, appaiono fuori controllo, perché l’Amministrazione in carica negli Stati Uniti non sembra intenzionata a intervenire sulla dinamica che caratterizza l’incremento del debito pubblico. Dunque, ancora per qualche mese, ben difficilmente la quotazione della moneta americana potrà tornare su valori molto superiori a quelli odierni. Quale che sia l’esito dei referendum europei.

Tuttavia, diversificare il portafoglio obbligazionario in dollari acquistando agli attuali livelli (1,28 circa) non è una cattiva idea. E’ infatti impensabile che si possa raggiungere quell’1,45 ipotizzato dai più pessimisti tempo fa, mentre è molto più probabile che la valutazione possa muoversi verso 1,25-1,20 in tempi non lunghissimi. Certo chi si appresta a speculare sul dollaro con una manciata di bond deve avere una buona propensione al rischio, tale da sopportare senza sofferenze i su e giù del cambio. E il gioco va condotto con bond di qualità inattaccabile per evitare che al balletto valutario si aggiunga il rischio emittente. La durata dell’obbligazione ha una valenza relativamente importante. Il vero scopo di chi acquista, in questo momento, è il guadagno sul cambio che, se arriva, è senz’altro più consistente di qualunque effetto negativo legato alla salita dei tassi.

Ma quanto scommettere? Se la propensione al rischio è alta, la quota di patrimonio da destinare agli strumenti in dollari potrebbe arrivare al 15% circa, se è media al 7,5-10% circa, se è bassa al 2,5-3%. Un’ultima raccomandazione: se la moneta americana dovesse rivalutarsi del 10-15%, frenate l’ingordigia. Portando a casa i guadagni e riducendo di nuovo l’influenza dei prestiti americani.

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