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DIVIDENDI: PINOCCHIO A PIAZZA AFFARI

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In-utili dividendi? No, non si tratta di un gioco di parole, ma di un fenomeno curioso a cui si assiste se si esaminano le principali societa’ quotate a Piazza Affari: molte di esse, infatti, a fronte di perdite o di utili in forte calo hanno distribuito agli azionisti dividendi considerevoli.

Se e’ vero che un buon dividendo puo’ rivelarsi un valido paracadute nel caso di discesa del prezzo, e’ altrettanto vero che l’investitore rischia di trovarsi in portafoglio titoli che nell’esercizio successivo non saranno in grado di offrire il medesimo rendimento da utili distribuiti.

Un campanello d’allarme puo’ essere il dividend payout ratio, cioe’ il rapporto tra totale dividendi distribuiti agli azionisti e utile d’esercizio, un indicatore di quanto l’utile riesca a supportare il pagamento del dividendo. Il rischio, per la societa’ che distribuisce payout elevati, e’ quello di non avere sufficienti risorse per autofinanziare la crescita. Un payout elevato, accompagnato da profitti in calo, e’ un segnale da tenere presente al momento dell’investimento.

La capacita’ di sostenere il dividendo negli esercizi futuri e’ un elemento importante da valutare nella scelta dell’investimento azionario. Significativo e’ il caso di Pirelli, che nel 2001 distribuiva un dividendo pari a €0,154 per azione ordinaria, a fronte di un utile netto consolidato di €3626 milioni, realizzati grazie all’apporto di proventi straordinari per importanti cessioni. Un utile netto e un dividendo di tale misura non potevano essere ripetuti anche quest’anno, e chi ha acquistato il titolo pensando di poter contare su un ritorno simile ha dovuto fare i conti con una realta’ ben diversa: utile netto consolidato 2001 di €86 milioni e utile distribuito dimezzato (€0,08 per azione ordinaria).

Un aumento inaspettato del dividendo deve quindi essere valutato con attenzione, in quanto potrebbe nascondere un ricorso a riserve straordinarie, una contrazione degli investimenti o un indebitamento in crescita.

Il ricorso alle riserve straordinarie e’ il caso di Tim, che ha provveduto quest’anno al pagamento di un utile distribuito in aumento del 20,9% rispetto all’esercizio precedente (€0,2342 per azione ordinaria), a fronte di un incremento dell’utile di solo il 2,4% nel 2001.

In una logica di gruppo, il dividendo di Tim viene sacrificato per ridurre il forte indebitamento di Olivetti e Telecom, ma occorre capire fino a che punto non si vada ad incidere sulla redditivita’ futura della societa’. Se si considera il livello degli investimenti di Tim nel primo semestre 2002, si vede che il loro ammontare e’ di €646 milioni contro i €3.464 milioni del primo semestre 2001, mentre dalle casse della societa’ fuoriescono ben €2.022 milioni per il pagamento di dividendi.

Legittimo chiedersi se un’azienda con elevato debito e risultato netto consolidato negativo per €2.068 milioni a fine ’01 faccia l’interesse dell’azionista utilizzando il cash flow generato per remunerare gli investitori anziche’ ridurre l’indebitamento. Basta pensare al beneficio che avrebbe la redditivita’ di Telecom Italia in termini di minori oneri finanziari nel caso di un miglioramento della qualita’ del debito (indebitamento finanziario netto consolidato al 30 giugno 2002 pari a €21,106 miliardi) e di un conseguente upgrade del rating.

Piu’ articolato e’ il caso di Fiat, della quale in questa sede si vuole evidenziare esclusivamente l’incongruenza della politica dei dividendi. Nel 2000 i conti di Fiat si chiudevano con un utile netto consolidato pari a €578 milioni in aumento rispetto ai €506 milioni del 1999, ma realizzato grazie a poste straordinarie positive per ben €915 milioni e con una posizione finanziaria netta negativa per €6,5 miliardi. Nonostante cio’, nel 2001 sono stati distribuiti agli azionisti dividendi consistenti, pari a €0,62 per le azioni ordinarie e €0,775 per le azioni di risparmio.

La situazione dello scorso anno si e’ ripresentata anche nel 2002, con l’assemblea che ha approvato il pagamento di un dividendo pari a €0,31 per le ordinarie e €0,465 per le risparmio, in contrasto con l’andamento economico e finanziario del gruppo, che evidenziava una perdita netta consolidata di €791 milioni e una posizione finanziaria netta negativa per €6 miliardi a fine 2001.

Gia’ lo scorso anno si sarebbe dovuta utilizzare ogni risorsa per agire sia sulla riduzione dell’indebitamento sia sugli investimenti, soprattutto nella ricerca e nello sviluppo di nuovi modelli per il settore auto. Una politica di questo tipo ben si sarebbe sposata con i target che il gruppo aveva indicato per il 2001: 2,5 milioni di vetture vendute e una posizione finanziaria netta di €3,5 miliardi. Ma i dividendi non dovrebbero seguire le variazioni degli utili di medio-lungo periodo?

*Amedeo Zaccaretti e’ un analista indipendente che collabora con Wall Street Italia