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DERIVATI, STRUMENTI DI DISTRUZIONE CHE VANNO RESI ILLEGALI

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(WSI) – Non sono a favore di una regolamentazione eccessiva. Dopo esserci spinti troppo in là sulla strada della deregulation, contribuendo alla crisi che stiamo vivendo, dobbiamo resistere alla tentazione di sbilanciarci troppo sull’altro versante. I mercati sono imperfetti, è vero, ma i regolatori lo sono ancora di più. Non sono soltanto umani, sono anche burocratici e soggetti a influenze politiche: per questo la regolamentazione va mantenuta a livelli minimi.

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La riforma dovrebbe essere impostata su tre princìpi. Il primo è che i regolatori, dal momento che i mercati tendono a creare bolle speculative, devono accettare di assumersi la responsabilità di impedire che tali bolle si gonfino a dismisura. L’ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan e altri hanno espressamente rifiutato questa responsabilità.

Se i mercati non sono in grado di riconoscere una bolla, è la loro tesi, nemmeno i regolatori ne sono in grado. È vero, ma le autorità devono comunque assumersi questo compito, anche sapendo di essere destinate a sbagliarsi. Potranno contare sul beneficio di un feedback da parte dei mercati, che consentirà loro di ricalibrare costantemente la propria azione e correggere gli errori.

Il secondo principio è che, per controllare le bolle, non è sufficiente tenere sotto controllo la massa monetaria, bisogna tenere sotto controllo anche la disponibilità di credito. E questo non può essere fatto solo ricorrendo a strumenti monetari, bisogna usare anche sistemi di controllo del credito come depositi di garanzia e requisiti patrimoniali minimi. Attualmente questi valori vengono stabiliti indipendentemente dagli umori del mercato. Il compito delle autorità consiste anche nel reagire a questi umori. I depositi di garanzia e i requisiti patrimoniali minimi devono essere aggiustati in base alle condizioni del mercato. I regolatori dovrebbero variare il rapporto prestito/valore sui mutui commerciali e residenziali allo scopo di ponderare il rischio e prevenire bolle immobiliari.

Il terzo principio è che bisogna ridefinire il concetto di rischio di mercato. La teoria del mercato efficiente sostiene che i mercati tendono verso l’equilibrio e le deviazioni avvengono in modo casuale: inoltre, i mercati teoricamente dovrebbero funzionare senza discontinuità nella sequenza dei prezzi. In queste condizioni i rischi di mercato possono essere equiparati ai rischi relativi ai singoli operatori di mercato. Fintanto che essi riescono a gestire adeguatamente i propri rischi, i regolatori non dovrebbero avere nulla da ridire.

Ma la teoria del mercato efficiente è irrealistica. I mercati sono soggetti a squilibri che i singoli operatori possono ignorare se pensano di poter liquidare le proprie posizioni. I regolatori non possono ignorare questi squilibri. Se troppi operatori sono sullo stesso lato, diventa impossibile liquidare le proprie posizioni senza provocare una discontinuità o, peggio, un collasso. In quel caso le autorità potrebbero essere costrette a intervenire in soccorso. Questo significa che nel mercato esiste un rischio di sistema, oltre ai rischi che la maggior parte degli operatori di mercato percepivano prima della crisi.

La cartolarizzazione dei mutui ha aggiunto un aspetto nuovo al rischio di sistema. Gli esperti d’ingegneria finanziaria dicevano che quello che stavano facendo era ridurre il rischio diversificandolo geograficamente: in realtà lo stavano incrementando creando una situazione di agency problem. Gli agenti avevano più interesse a massimizzare il reddito da commissioni che a proteggere gli interessi dei detentori dei titoli. Questa è la verità che è stata ignorata sia dai regolatori che dagli operatori di mercato. Per evitare che il fenomeno si ripeta è necessario che gli agenti abbiano un interesse diretto, ma il 5% proposto dal governo è più simbolico che sostanziale. Il requisito minimo a mio parere sarebbe il 10 per cento. Per consentire possibili discontinuità nei mercati, i titoli detenuti dalle banche dovrebbero avere un rating di rischio più alto di quello stabilito dagli Accordi di Basilea.

Le banche dovrebbero pagare la garanzia implicita di cui godono sfruttando meno la leva finanziaria e accettando restrizioni sul modo d’investire i soldi dei correntisti; non dovrebbe essere consentito loro di speculare per proprio conto usando soldi altrui.

Probabilmente non è pratico separare le banche d’affari dalle banche commerciali, come fecero gli Stati Uniti nel 1933 con la legge Glass-Steagall. Ma dev’esserci una barriera interna che separa il proprietary trading (l’attività di compravendita titoli che una banca effettua per conto proprio) dal commercial banking. Il proprietary trading dev’essere finanziato con il capitale proprio della banca. Se una banca è troppo grande per essere lasciata fallire, i regolatori devono impegnarsi ancora di più per proteggere i suoi capitali da rischi indebiti.

Devono regolamentare i compensi dei trader che agiscono per conto diretto della banca, creando un bilanciamento tra rischi e ricompense. In questo modo si potrebbe dirottare il proprietary trading verso gli hedge fund, che sono un contesto più appropriato a gestirlo. Anche gli hedge fund e gli altri grandi investitori devono essere attentamente monitorati per accertarsi che non creino pericolosi squilibri.

Per concludere, ho opinioni molto marcate sulla regolamentazione dei derivati. L’opinione prevalente è che questo tipo di prodotti finanziari andrebbe scambiato su mercati regolamentati. Non è sufficiente. L’emissione e lo scambio di derivati devono essere regolamentati rigorosamente, come i titoli azionari. Le autorità devono garantire che i derivati siano omogenei, standardizzati e trasparenti.

I derivati personalizzati servono solo a migliorare il margine di profitto di chi li ha concepiti. Anzi, alcuni tipi di derivati non dovrebbero proprio essere commercializzati. Penso in particolare ai Cds (credit default swaps). Si pensi alla recente bancarotta della AbitibiBowater e a quella della General Motors. In entrambi i casi, alcuni obbligazionisti detenevano dei Cds e avevano da guadagnare più da un fallimento che da una riorganizzazione. È come comprare un’assicurazione sulla vita intestata a qualcun altro e detenere una licenza di ucciderlo. I Cds sono strumenti di distruzione che vanno messi al bando.
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