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DEMOCRAZIA ALL’ITALIANA, DOPO ELEZIONI,”LA REPUBBLICA” E BERLUSCONI

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(WSI) – Il dato più significativo delle elezioni in Italia è sempre il modo col quale le commentano i giornali.

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“Il Popolo della libertà ha vinto, ma non ha stravinto; il Partito democratico ha perso, ma non ha straperso”. Questo, in sintesi, il giudizio. Ma perché il Pdl avrebbe dovuto stravincere e il Pd straperdere? In democrazia, è sempre meglio che una parte politica non stravinca e l’altra non straperda, perché a una maggioranza forte è sempre bene si opponga una minoranza forte in grado di contrapporglisi efficacemente. In realtà, il giudizio citato sarebbe solo un innocuo tentativo di consolarsi, da parte dei perdenti e dei giornali che li affiancano, se non fosse anche, e soprattutto, un pericoloso modo di negare l’essenza stessa della democrazia.

Scrive Massimo Giannini su “la Repubblica” di ieri: “L’Italia monocolore può attendere… Le elezioni amministrative ci consegnano un Paese palesemente spostato a destra, ma non irrimediabilmente votato al berlusconismo”. Per le ragioni che ho detto, io me ne compiaccio. Non sono un elettore di Berlusconi, ma neppure dei suoi avversari. Sono semplicemente un giornalista liberale che cerca di fare il suo mestiere secondo i propri principi e in totale indipendenza.

I plebisciti non mi piacciono anche quando non sono un pericolo per la libertà come non credo sarebbe stato quello per il centrodestra. Ma non mi pare, che questa sia anche l’opinione di Giannini e del giornale per il quale scrive. Al quale, invece, una sola cosa sembra stare a cuore: sminuire il successo del Popolo della libertà.

Scrive ancora Giannini: “Il sogno plebiscitario di Berlusconi svanisce nelle trame oscure della sua personale ‘Velinopoli’. L’onda alta e lunga del berlusconismo si infrange sugli scogli di Casoria e sulle spiagge di Bari”. E qui non ci siamo, proprio non ci siamo.

Anche ammesso che le vicende di Casoria e di Bari nelle quali è stato coinvolto il capo del governo abbiano influito sull’esito del voto, e personalmente ne dubito assai, “il sogno plebiscitario di Berlusconi” non si è infranto per le ragazzotte in questione, bensì contro le dure leggi della democrazia, le quali prevedono che uno vinca e l’altro perda.

Che Berlusconi, in cuor suo, si rammarichi di non aver raggiunto il plebiscito è del tutto comprensibile e persino giustificabile; l’uomo politico tende sempre al massimo consenso. Assai meno comprensibile, e tanto meno giustificabile, è che un giornale se ne compiaccia, non perché così vuole la buona regola democratica, ma per avversione all’uomo politico, alla vittoria del quale tende, così, a negare piena legittimità.

Forse, molti giornalisti italiani avrebbero bisogno di leggersi i libri di Giovanni Sartori – cito non solo uno dei maggiori scienziati politici mondiali, ma anche un tenace avversario di Berlusconi – su “che cos’è la democrazia”. Riassumendo, essa vuole che: 1) sia meglio che una parte non vinca troppo e la controparte non perda troppo; 2) vinca le elezioni, e governi, chi ha più voti, anche uno solo in più; e solo questo conti; 3) il centrodestra (Berlusconi) abbia vinto queste elezioni. E’ sufficiente leggere i numeri per rendersene realisticamente conto, senza indulgere a un eccesso di compiacimento ovvero di rammarico. Il resto sono chiacchiere.

Ma, allora, perché, prima e ancora dopo i risultati, si parla ancora tanto delle festicciole del capo del governo a Palazzo Grazioli e a Villa Certosa? Una risposta la danno i risultati stessi. Il Popolo della libertà e persino la Lega hanno, ormai, incominciato a radicarsi sul territorio, mentre ancora in un recente passato erano l’uno, (il Pdl), un fenomeno nazionale e personale, l’altra, (la Lega), un movimento locale.

Ora, è bene sapere che il livello di corruzione, in Italia, è analogo, se non addirittura superiore, a quello della Prima repubblica. La sola differenza è che Tangentopoli era su base nazionale, mentre questa è su basi locali. Ciò che era in gioco, dunque, in queste elezioni, era il controllo, se non proprio della corruzione, quanto meno del patronage a livello di enti locali.

Negli Usa, Chicago è stata per anni bene amministrata da un sistema analogo che è diventato addirittura oggetto di studi sociologici. Il centrosinistra aveva capito che la propria sconfitta sarebbe coincisa con l’uscita di scena di migliaia di propri funzionari politici e amministrativi. L’enorme eco scandalistica data, anche dai giornali suoi fiancheggiatori, alle supposte avventure pecorecce di Berlusconi è stata una battaglia per la sopravvivenza.

A questo punto, è, forse, utile qualche riflessione anche su quel genere di giornalismo che, in Italia, pretende di svolgere una funzione di supplenza di una parte politica. Personalmente, non ritengo ci sia nulla di illecito. Ciascuno fa il giornalismo che meglio crede, purché non danneggi il prossimo, in una democrazia pluralista e “aperta”. Penso, però, che, in ogni caso, tale genere di giornalismo presenti due anomalie.

La prima è che esercitando una funzione di supplenza di una parte politica, anche se ne trae beneficio editoriale, esso non ci guadagni, invece, in credibilità, perché confonde la Testimonianza (che è il solo modo di fare buon giornalismo) con la Propaganda (che è, al contrario, un pessimo modo di farlo). La seconda anomalia è che – anche ammesso che il giornale ne guadagni in copie – non è detto che il partito del quale esercita la supplenza ne guadagni in voti. Anzi. E ciò è esattamente quello che è successo, ieri, al Partito comunista e, oggi, succede al Partito democratico. L’operazione supplenza de “la Repubblica” è riuscita. Ma il paziente è morto.

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