Società

DELLA GUERRA
DI D’ALEMA
CONTRO RUTELLI

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(WSI) – D’Alema è sempre più impegnato nello sforzo di stroncare Rutelli. La sua trama è semplice di fattura: consegniamo all’innocuo Prodi e al mito astratto dell’unità ulivista senza contenuti le truppe del maggior partito di sinistra, emarginiamo quel pericoloso partito multiculturale che pretende di competere con noi. D’Alema è intelligente e non è soltanto (è anche questo) un reperto della vecchia cultura comunista, ma nel suo progetto c’è una dose di integralismo politico che come sempre allarma i fautori di un centro sinistra plurale e di governo, una cosa per dir così “dal volto umano”.

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Solo che dopo la vittoria di Cacciari su un suo magistrato di riferimento a Venezia, e soprattutto dopo l’annegamento nella mediocrità culturale del polveroso e verboso anticlericalismo fattosi antiumanista, l’ennesimo complottone del leader diesse procede sì, ma con un certo affanno. D’Alema, con l’assistenza del prodiano professor Parisi, perfetto compagnon de route per uno tosto come lui, punta sulla scissione a breve nel partito concorrente della Margherita, su una lunga guerra di logoramento, sulla solita e ovvia logica del divide et impera per isolare il leader che ha osato sfidare il suo spirito colonizzatore.

Rutelli ha anche osato rivendicare indipendenza politica, addirittura si è messo a votare e poi ha difeso con dovizia di argomenti una legge laica rigettata in modo scomposto da settori radicali e femminili del partito dei diesse, come sempre alla testa di un paese che non c’è e di una clamorosa battaglia anticulturale, malamente persa (ciò di cui Fassino si è già accorto): Rutelli andava punito, va punito.

Il risultato provvisorio è che Prodi ha perso competitività politica, l’Unione e l’Ulivo implodono in dispute nominalistiche senza importanza per gli elettori e per il paese, settori non marginali (sarebbero i poteri forti nuova versione) dell’economia e dell’establishment sono allarmati dalla prospettiva di puntare su un cavallo già sfiancato. Ulivo e Unione dovevano fare il contrario di quel che D’Alema e il professor Parisi gli stanno propinando come sicura ricetta per perdere: dovevano conquistare il centro, mostrarsi ed essere versatili e culturalmente aperti, liberali e laici ma fuori della prigione dell’ideologia e del correttismo “de sinistra”. Le occasioni perdute di D’Alema non si contano, questa forse è la più importante. Perché è l’ultima.

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