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Delitto di Roma: che collegamento c’è con il Madoff dei Parioli?

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Roma – «Non voleva pagarmi, l’ho ucciso». Settant’anni, professione prestanome. È il killer di Roberto Ceccarelli, l’imprenditore-faccendiere di 45 anni freddato venerdì sera a colpi di pistola davanti al Teatro delle Vittorie in via Col di Lana, a Prati.

P.A. si è costituito a meno di ventiquattrore dal delitto, sabato pomeriggio, agli investigatori della Squadra mobile che lo stavano cercando. «Gli ho sparato, poi sono fuggito e ho gettato la pistola nel Tevere», ha confessato nella notte. L’assassino ha aggiunto il dettaglio di avere gettato la pistola nel Tevere perchè la calibro 22 con la quale è stato freddato Ceccarelli non è stata ancora trovata. «Mi sono disfatto dell’arma, l’ho gettata nel fiume», ha detto.

Il settantenne ex socio di Ceccarelli, ascoltato in serata dal pm Silvia Santucci, è in stato di fermo. Un omicidio d’impeto, un gesto di rancore esasperato, al termine di un confronto tanto rovente quanto inutile che si sarebbe protratto per ore, prima al telefono e poi nelle strade limitrofe al quartier generale della Rai.

Un delitto nato nel sottobosco delle società gestite dalla vittima. Un pulviscolo d’imprese dal business ambiguo, le denominazioni improbabili e la vita breve. Società come la «Robby cars», la «Vizi e sfizi Boat srl, la «Prestige car», la «Nike Consulting», la «An.Si.Lu. immobiliare», la «Holiday Market», la «Atlantic srl», la «Ship Rent».
Da anni Ceccarelli si muoveva disinvolto tra il commercio di automobili e il noleggio di barche, un piede nella compravendita di immobili e l’altro nella ristorazione.

Tutto sullo sfondo dell’imprenditoria d’assalto, delle finanziarie a rischio e di quella ubriacatura semi collettiva per i famosi derivati e la relativa promessa di profitti prodigiosi.

Ecco questa era la Roma in cui Ceccarelli si muoveva meglio, come quei Parioli «da bere» finiti da giorni sotto i riflettori per la maxitruffa alla Madoff che ha sconvolto i Parioli: un’ombra che si allunga anche su questa storia come quella della mafia tanto che, visti i precedenti della vittima, la Dda romana, coordinata dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, sta seguendo le indagini. «Sono in corso accertamenti sugli ultimi elenchi della Egp di Gianfranco Lande per verificare se fra i Ceccarelli che compaiono nelle liste (quattro, ndr), uno sia proprio l’imprenditore ucciso», confermano in Procura.

Il prestanome di Roberto Ceccarelli, senza una residenza fissa, avrebbe sparato dopo l’ennesimo rifiuto a un’ulteriore richiesta dei soldi che gli spettavano. A lui la polizia è arrivata dopo aver rintracciato tutte le persone con le quali l’imprenditore, già coinvolto nella vicenda di Lady Asl e del riciclaggio di 10 milioni di euro spariti dalle casse pubbliche con un traffico di automobili in Germania, aveva avuto contatti nella giornata di venerdì.

Con molti di loro la vittima aveva probabilmente litigato. Ma il prestanome non si è dato per vinto e alle 20.30 era in via Oslavia, altra strada di ristoranti, locali e viavai serale, ad aspettare l’ex socio proprio sotto la sede di una delle sue numerose società.

A quel punto avrebbe insistito ancora, ricevendo l’ennesimo rifiuto. Solo allora avrebbe estratto la pistola calibro 22. E solo allora Ceccarelli, spaventato, ha tentato di sfuggirgli. Il colpo sparato da P.A. lo ha raggiunto proprio nei pressi della sua auto, parcheggiata davanti al bar «Vanni» storico ritrovo di dirigenti, autori e volti Rai.

Il prestanome gli ha sparato alle spalle, uccidendolo. Uno dei proiettili avrebbe sfiorato il volto dell’imprenditore, trasformandolo in una maschera di sangue. L’omicida sarebbe quindi fuggito a piedi, di nuovo verso via Oslavia. Non è chiaro se ci fosse qualcuno ad attenderlo.

Le indagini non sono ancora concluse, e si valutano i risultati dell’interrogatorio di sabato sera per chiarire anche questo aspetto e chiudere il cerchio. Un mistero che il figlio dell’imprenditore avrebbe aiutato a risolvere, collaborando con la polizia nella ricostruzione delle ultime ore di vita del padre e dei suoi complessi rapporti di lavoro. E dei suoi nemici.

Se il giallo appare risolto, nel vecchio quartiere di professionisti prestigiosi e artisti di fama internazionale, resta l’inquietudine per quella violenza atterrata in un clima di intorpidimento.

Una sola telefonata avrebbe raggiunto i centralini delle forze dell’ordine a pochi minuti dal delitto. E gli avventori dei locali? E il resto dei romani in strada a quell’ora di un venerdì primaverile? Niente. Silenzio. Poche, distratte e incerte anche le testimonianze raccolte nel quartiere il giorno successivo. Prati si è scoperta impaurita e omertosa.

E in effetti 20.30 di venerdì, con i bar e i ristoranti affollati di clienti, soltanto una chiamata è arrivata al 113 per segnalare i colpi di pistola e quell’uomo riverso sull’asfalto di fronte al teatro della Rai. Al telefono, la voce era quella di uno straniero dall’italiano incerto.

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Truffa dei Parioli, spunta una nuova lista di clienti: nomi criptati per aggirare fisco

di Valentina Errante

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ROMA – Un’operazione da settanta milioni di euro. Un altro contratto, oltre a quello della Vector aerospace che ha garantito al broker dei Parioli 84 milioni di euro per la produzione di quattordici eurofighter.

L’affare da 70 milioni, gestito nel 2008 da una società riconducibile a Gianfranco Lande, è adesso all’esame degli uomini del nucleo valutario della Guardia di Finanza, guidati dal generale Leandro Cuzzocrea. E mentre spunta un’altra lista, con nomi criptati, la versione fornita dal Madoff dei Parioli il 6 aprile al pm Luca Tescaroli sui rapporti «con il dipartimento militare tedesco Eads» non convince. Ma non convince neppure la ricostruzione della truffa.

A verbale Lande raccontato che la lista sequestrata a Torreggiani non è completa, ce n’è un’altra lista, con una dozzina di posizioni «schermate», la cui identità è ancora sconosciuta. Poi ha spiegato come sono spariti i soldi dei 1500 investitori. «L’elenco completo dei clienti è inserito in un file che io ho preparato. Ci sono una dozzina di soggetti che, in quanto codificati, stavo cercando di identificare per attribuire loro un’identità. Credo che questa fosse un’abitudine generata intorno al 2000. Non ho nessuna idea del motivo. Per altri soggetti avevo già svolto, con successo, l’attività di decriptazione, incrociando i dati con le risultanze delle movimentazioni bancarie. Trattandosi di soggetti gestiti da terzi non avevo la visibilità di queste situazioni. Credo ci possano essere motivazioni di carattere fiscale. Lo sforzo principale è stato quello di identificare i soggetti ma non ho effettuato delle quantificazioni. Si tratta di questioni prettamente fiduciarie».

Gli investimenti «mascherati», si legge nel verbale, erano effettuati «In Italia con bonifici e assegni, parte con operazioni estero su estero sul conto Hsbc. Non c’è più nulla, perché c’è stato un trasferimento massiccio di denaro per far fronte alla situazione finanziaria Eim. Sussiste uno stato di decozione di tutto il gruppo, generato da Eim. Le restituzioni sono state sostenute da Dharma e successivamente da Egp».

Lande ha anche tentato di spiegare come il meccanismo si sia inceppato e come i soldi, almeno quelli dei 733 clienti di Roberto Torreggiani, siano spariti: non ci sarebbero mai stati investimenti, il denaro dei nuovi risparmiatori sarebbe stato “girato” sotto forma di interesse a quelli vecchi: «Il denaro raccolto da Torreggiani – ha spiegato Lande – veniva annualmente utilizzato per rimborsare i clienti. Dal ’94 in poi la disponibilità finanziaria solo per una minima parte è stata investita. Io non avevo piena conoscenza di ciò. Dal ’97 in poi non ho più fatto effettivamente parte della Eim, salvo mantenere le cariche formali. Pur essendo titolare del conto corrente non ho preso cognizione dei relativi movimenti che ho analizzato solo successivamente. Ero titolare di un conto Carispaq, ma non ho mai controllato gli estratti conto perché venivano mandati all’ufficio in via Bocca di Leone».

E’ a questo punto che il pm chiede a Lande perché abbia deciso di fare lo scudo fiscale se non conosceva la situazione: «Mi sono reso conto della situazione prima di fare lo scudo fiscale. Per le partiche dello scudo ho riportato i dati che risultavano dalla contabilità clienti di Eim, pur avendo la consapevolezza che non erano aderenti al vero. Ho avallato questa situazione per pura paura perché temevo accadesse quello che è accaduto ora. Avevo uno spiraglio infinitesimale di potere ricomporre la situazione finanziaria disastrosa».

Poi a domanda di Tescaroli sulla consapevolezza dei clienti dice: «Le persone che ho conosciuto, circa 100, sapevano che Eim non era abilitata. Ricordo il nome del principe Giovanni Pignatelli. Sapevano perché c’è stata chiarezza fiscale e chiarezza nei rapporti. Eim nasce da una piccola cerchia di soggetti con determinati requisiti che potevano fare investimenti alternativi. Sapeva anche Luigi Maroni Ponti. Sono persone con cui ho iniziato un rapporto nei primissimi anni ’90».

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