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Debito sotto 100% del Pil vendendo 400 miliardi in asset statali

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Roma – Ultimamente si è registrata una certa convergenza di opinioni sull’opportunità di ridurre drasticamente il debito pubblico. In parlamento sta prendendo piede l’ipotesi di ridurre il rapporto tra debito e Pil sotto il 100%, trasferendo asset e patrimoni statali per 380-400 miliardi di euro in una societa’ appositamente creata, che a sua volta emetta obbligazioni con warrant.

Wall Street Italia ha intervistato il promotore dell’iniziativa, Antonio Maria Rinaldi, docente di finanza aziendale presso la Statale Gabriele D’Annunzio di Chieti-Pescara e di Economia alla Link Campus University di Roma. Ma soprattutto, come a lui piace precisare, allievo e discepolo, sin dalla metà degli anni 70, del noto economista Paolo Savona, insieme al quale ha elaborato un piano di riduzione del debito.

Dottor Rinaldi, per quale motivo, a suo avviso, è improrogabile l’abbattimento del debito pubblico?

E’ il nostro principale problema. Continuare ad alimentare questo debito, che ormai ha raggiunto quasi il 125% del Pil, significa sacrificare risorse enormi. Nel 2011 abbiamo speso 82 miliardi di euro solo in conto interessi, ricorrendo a sempre più elevate quote di fiscalità e sottraendo soprattutto energie da destinare agli investimenti e al risparmio. Un’operazione shock riuscirebbe, in un lasso di tempo ragionevolmente breve, a contenere il costo degli interessi, sia per la diminuzione dello stock del debito, sia per la più che prevedibile diminuzione dei tassi.

L’obiettivo ideale sarebbe quello di abbattere il debito sotto la soglia psicologica del 100%, il che implicherebbe trasferimenti di patrimonio per un importo di 380-400 miliardi di euro, da effettuare in tranche da definire sia in termini quantitativi che qualitativi. Ciò determinerebbe risparmi di almeno 30 miliardi di euro annui per i motivi sopra descritti, ma soprattutto si attiverebbe un circolo veramente virtuoso, perchè i beni oggetto della vendita attrarrebbero capitali producendo un effetto moltiplicatore con innegabili vantaggi in termini di crescita e occupazione. Ma soprattutto dobbiamo entrare nell’ordine delle idee di non aspettare solo aiuti o solidarietà esclusivamente da parte dell’Europa, dobbiamo assolutamente attivarci per poter risolvere in maniera autonoma ed efficace il problema del debito.

In cosa consiste la vostra proposta?

Prende origine da una vecchia intuizione di Paolo Savona e del Prof. Guarino, che essenzialmente prevedeva la creazione di una nuova società, da quotare in borsa, nella quale far affluire asset dello Stato. Il ricavato sarebbe andato a diminuire quote del debito pubblico, essendo tale società al di fuori del perimetro dei regolamenti europei che contemplano le passività a livello sia centrale che periferico.

Come si è evoluta nel tempo?

Sulla base di questa proposta, da vecchio allievo di Paolo Savona, ho riadattato l’impianto originario alle circostanze attuali. Oggi come oggi sarebbe impossibile presentarsi sul mercato e quotare una società con una capitalizzazione con non meno di 200-300 miliardi di euro, visto che tutta la borsa italiana capitalizza una cifra sullo stesso ordine di grandezza. Dunque serve mettere in piedi un meccanismo che nello stesso tempo crei la liquidità necessaria, finalizzata all’abbattimento del debito , ma che non passi però da una svendita dei beni-asset immobili e concessioni, in un momento non certo favorevole, e che sia anche di gradimento ai mercati. Ne è scaturita un’impostazione rinnovata.

Ce la può spiegare?

Sempre con la creazione di una Newco, alla quale trasferire beni e asset disponibili e non strategici, la quale contestualmente emette obbligazioni con warrant. In questo modo si ottiene immediatamente la liquidità, da trasferire al Tesoro per ridurre immediatamente il debito, senza immettere però materialmente questi beni sul mercato, e dando al warrant la funzione di essere il mezzo per poter, a posteriori, entrare in possesso dei beni oggetto della vendita. In questo modo si avrebbe il tempo di alienare a prezzi equi dando la possibilità al mercato di determinare, tramite l’esercizio del warrant, il corretto valore. Naturalmente il capitale della Newco è detenuto non solo da soggetti riconducibili allo Stato, ma anche da privati (banche, fondazioni, etc), in modo da essere considerata al di fuori della garanzia statale secondo quanto previsto dal Regolamento ESA 95.

Attualmente, però, la liquidità scarseggia. Non c’è il rischio che i privati non sottoscrivano le obbligazioni della Newco, portando il processo a uno stop?

Se agli investitori si propone un’obbligazione con delle garanzie reali sottostanti, con un rendimento sicuramente inferiore ai titoli pubblici, ma con un warrant che offre delle potenzialità di innalzamento del rendimento, sono certo che troverebbe il gradimento dei mercati. Naturalmente è necessario anche inserire degli incentivi a supporto dell’operazione, quali ad esempio, per i privati e per le istituzioni, incentivi fiscali (come una tassazione simile ai titoli di stato) e con la possibilità di pagamento, oltre che cash, anche mediante il concambio di titoli pubblici italiani al valore di emissione. Questo determinerebbe un enorme vantaggio sia nei conti economici delle società che nei bilanci familiari, visto che i titoli di stato sono attualmente al di sotto del prezzo di emissione. E’ necessario inoltre che tutta l’operazione sia garantita e certificata a livello internazionale e nazionale da primari istituti. Comunque il principale garante della regolarità e trasparenza sarebbero proprio i cittadini e gli investitori, in quanto possessori dei warrant, che vigilerebbero costantemente sull’equità e corretta esecuzione del piano. Penso che questa sia un’operazione tecnica ideale per poter riportare i cittadini al centro delle scelte strategiche, e non già, come purtroppo è avvenuto fino ad ora, soggetti passivi chiamati solamente a sanare i conti dello Stato con prelievi fiscali al limite della sopportazione sociale.

Sembra impensabile poter condurre un’operazione del genere senza il consenso delle forze politiche, che si nutrono di rendite di posizione garantite dal patrimonio pubblico. Come pensate di convincerle?

Penso che i nostri politici debbano fare un ragionamento molto semplice: mettere a disposizione il 20% dell’intero attivo patrimoniale dello Stato disponibile e non strategico per risolvere una volta per tutte il problema del debito pubblico e soprattutto per rilanciare crescita e occupazione, sia il giusto prezzo da pagare, anche perché l’alternativa è continuare a far ricorso sempre più alla fiscalità per il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla convergenza che ci lega alla moneta unica. Oserei dire che quest’operazione è come l’iniezione di adrenalina che viene fatta nel petto del paziente agonizzante e che rappresenta l’unica e ultima opzione per poter rimanere a pieno titolo come protagonisti nella scena europea.

Recentemente, insieme al prof. Savona, avete presentato la vostra proposta alla Camera. Che riscontro avete registrato da parte della politica?

Ottimo, piace soprattutto l’equità del meccanismo, e la realizzabilità in tempi brevi. Lo stesso (Enrico) Bondi (il commissario nominato dal governo per mettere a punto la revisione e razionalizzazione della spesa pubblica, NdR) invece di essere utilizzato per la Spending review potrebbe essere impiegato a capo di questa newco, per la sua indubbia competenza e per la visibilità in campo internazionale. Chi farà propria questa proposta non solo farà un ottimo servizio al Paese, ma darà prova di riportare il cittadino al centro delle scelte cruciali, tornando ai valori dei padri fondatori, e questo in fondo è ciò che tutti ci auspichiamo.

Come giudica, fino ad ora, l’operato del Governo Monti e delle iniziative di taglio della spesa?

Personalmente ritengo che Mario Monti sia una persona di altissimo profilo, ma che abbia sbagliato la sua politica nell’uso della fiscalità come unico mezzo per arginare l’emergenza dei conti. Anche la Spending review appare più come una goccia nel mare, mentre è necessario ed urgente intraprendere iniziative come quella descritta, che non solo abbatterebbe in modo significativo il debito, ma metterebbe in moto un meccanismo virtuoso. D’altronde tutte le proposte che attualmente circolano per la riduzione straordinaria del debito, seppur animate da nobili intenti, appaiono sostanzialmente come alchimie contabili. Che senso ha trasferire porzioni di patrimonio dello Stato fuori dal perimetro pubblico se poi non attivano valorizzazioni che consentano investimenti a supporto della crescita? Un pò come i vari Fondi Salva Stati: si creano fondi contraendo altri debiti per soccorrere vecchi debiti. Una catena di Sant’Antonio che invece va spezzata visto che la BCE non può stampare. Mi sembra altresì giusto coinvolgere finalmente i cittadini in un’operazione straordinaria, che li renderebbe partecipi del risanamento dell’”Azienda Italia”.