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DAIMLERCHRYSLER: SCENE DA UN MATRIMONIO INFELICE

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L’aristocratico tedesco di gran blasone che prende in sposa la fanciulla americana cresciuta fra la classe operaia. In un romanzo d’appendice si sarebbe scritto “…e vissero felici e contenti”, ma sono le scritture di bilancio a parlare del matrimonio fra Daimler-Benz e Chrysler.

Il terzo costruttore automobilistico del mondo ha presentato questa mattina un bilancio trimestrale che evidenzia utili in calo dell’80%, per un misero totale di $271 milioni.

La reazione dei mercati e’ stata negativa ma tiepida: una cessione frazionale che pare una bazzeccola rispetto al 60% che il titolo DaimlerChrysler (DCX) ha lasciato sul terreno in poco piu’ di un anno.

Wall Street non si e’ mai commossa per questo matrimonio da favola che nel 1998, quando fu consumato, conquisto’ il primato della piu’ grande fusione industriale della storia, costata ai tedeschi $37 miliardi.

Annunciata come un’unione tra uguali, l’operazione e’ sempre stata percepita come la vendita agli stranieri di uno dei simboli dell’industria automobilistica americana.

Questa sensazione, ancor prima degli investitori, l’hanno provata gli uomini di Chrysler: sin dai primi mesi e’ stato chiaro che l’unico vero quartier generale sarebbe stato quello di Stoccarda.

Robert Eaton, presidente e amministratore delegato di Chrysler, ha fatto le valige e lasciato l’incarico di ‘co-numero uno’ con largo anticipo sul previsto, lasciando solo al comando Jurgen Schrempp.

L’abbandono di Eaton, figura carismatica in Chrysler da ben 37 anni, e’ stato letto come l’ultimo capitolo della ‘germanizzazione’ della societa’ e altri prestigiosi dirigenti hanno gettato la spugna.

Le potenti sinergie che avrebbero dovuto dispiegarsi con la fusione sono state un’altra promessa non manenuta.

L’obiettivo di Daimler era quello di potenziare la distribuzione delle lussuose Mercedes negli Stati Uniti e di spendere l’expertise di Chrysler sul mercato europeo, dove i tedeschi non hanno veicoli di classe media in grado di competere con Volkswagen.

Ma la stella a tre punte – storico emblema della supremazia dei motori Daimler-Benz in cielo, in terra e in mare – non si e’ mai voluta confondere con Chrysler.

Quando gli americani hanno proposto di ridurre i costi utilizzando componenti comuni, come le maniglie delle portiere, per i veicoli Chrysler e quelli Mercedes, i tedeschi sono inorriditi.

I concessionari Mercedes dell’area di Los Angeles si sono persino rifiutati di ricevere pezzi di ricambio consegnati a bordo di camion Chrysler: “un danno per l’immagine e la reputazione della Casa”, “come servire caviale in piatti di plastica”, sono stati i commenti meno risentiti.

L’agenzia di rating Standard & Poor, dal canto suo, non ha voluto includere DaimlerChrysler nel suo indice delle prime 500 societa’ americane, considerandola a tutti gli effetti ‘Made in Germany’. Giudizio apparentemente condiviso dai molti investitori che hanno deciso di non affidare in mani straniere il proprio denaro.

Una rapida scorsa alla documentazione depositata presso la Securities and Exchange Commission (SEC), l’organo di controllo delle borse Usa, dimostra che gli azionisti DaimlerChrysler americani sono il 25%, meno della meta’ rispetto a coloro che possedevano titoli Chrysler.

Schrempp, il manager teutonico che ha voluto a tutti i costi l’unione con Chrysler, lo scorso anno si e’ persino separato dalla moglie Renate per potersi dedicare interamente alla sua creatura.

“La sfida di guidare il terzo gruppo automobilistico mondiale significa per me piu’ di ogni altra cosa – ha dichiarato Schrempp al quotidiano ‘Bild’- ponendo bruscamente fine a 35 anni di vita coniugale”.

A Wall Street molti operatori scuotono la testa e assicurano sarebbe stato meglio che Schrempp si tenesse la moglie e lasciasse in pace Chrysler.

A Auburn Hills nel Michigan, sede di Chrysler, l’idea di un divorzio dai tedeschi fa sognare a occhi aperti. La fanciulla di umili origini vorrebbe gettare il velo alle ortiche e riconquistare la propria liberta’.

L’ipotesi e’ destinata a rimanere un sogno: il comparto automobilistico e’ – a giudizio degli analisti – nel pieno di un irreversibile processo di consolidamento e riseparare le due societa’ avrebbe costi micidiali per i gia’ poco entusiasmanti bilanci.

Schrempp questa volta sara’ costretto a rispettare il fatidico ‘finche’ morte non ci separi’e per salvare almeno le apparenze, ha deciso di riaprire gli uffici nel grattacielo Chrysler, sede originale della societa’, un gioiello art-deco’ che svetta al centro di Manhattan.