Società

DA OGGI IN POI, TUTTI CONTRO I SINDACATI

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(WSI) – Con il lavoro l´Italia non è mai stata un paese fortunato. Anni fa si diceva, e era vero, che riusciva a coniugare la più alta rigidità del lavoro con la più alta disoccupazione: tutti garantiti e al sicuro, ma molti senza lavoro, semplicemente fuori dai cancelli. Adesso c´è un altro paradosso e sarà molto complicato da sciogliere: l´Italia mette insieme il sindacato più forte d´Europa con le paghe più basse d´Europa e, in genere, con una condizione lavorativa della gente che è fra le peggiori del Vecchio Continente.

E infatti il presidente uscente della Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, ha cominciato a sparare palle incatenate contro questo sindacato, considerato un serio ostacolo sulla strada del progresso. E subito si sono alzate le difese d´ufficio: il sindacato è uno dei pilastri della democrazia, chi attacca il sindacato è perché ha progetti autoritari, giù le mani dal sindacato. Ma bisogna stare attenti al rischio banalità.

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Non a caso il bellissimo libro che Stefano Livadiotti (collega dell´ “Espresso”) gli ha dedicato si intitola «L´altra casta, privilegi, carriere, misfatti, e fatturati da multinazionale». Chi vuole essere un pilastro della democrazia, oggi, ha almeno due obblighi: farsi eleggere e pubblicare i resoconti finanziari della propria organizzazione. Ebbene, tutti noi vediamo, una sera sì e l´altra pure, qualcuno dei tre segretari generali seduti in qualche talk show che parlano di tutto. Di paghe, ma anche del bollo auto. Dell´Ici, ma anche della immondizia di Napoli.

E magari mezz´ora prima li abbiamo visti al telegiornale che uscivano da Palazzo Chigi con l´aria compunta, dove erano stati a discutere con il governo più o meno delle stesse cose. E non si capisce perché Bonanni deve andare a discutere di tasse: chi lo ha delegato?

Ma come, si dirà, i sindacati fanno un sacco di congressi. Certo, peccato che sia tutta roba interna. Discutono, si accapigliano, poi i capi si ritirano in una stanza e decidono chi deve essere eletto. Portano in sala le liste e il gioco è fatto. In tanti anni di sindacalismo non si è mai visto uno eletto che non facesse parte della stessa burocrazia sindacale. Un signor Rossi o un signor Bianchi. In passato ogni tanto c´era qualche immissione da fuori, ma solo perché lo decideva il partito di riferimento.

Diciamo la verità: non si è mai vista una burocrazia così potente e così irresponsabile in una democrazia moderna (che per di più non presenta i conti: il vecchio Prodi, se si può ancora citare, diceva che le democrazie si costruiscono sulle ricevute, ma quelle del sindacato non ci sono). Quelli del sindacato sono affari piccoli? Mica tanto. Secondo Livadiotti la sola Cgil ha un giro di affari di un miliardo di euro (rappresentato, suppongo, dai contributi graziosamente raccolti dalle imprese per loro). Ma non è finita. I delegati delle tre centrali sindacali (le maggiori) sono 700 mila in tutto, sei volte più dei carabinieri. Basta questo per accorgersi che siamo nel ridicolo. Che cosa devono fare 700 mila persone? Quali tremende discussioni devono affrontare?

Discutono di loro questioni interne e di contratti. Per fare questo hanno bisogno di un milione di giornate lavorative (retribuite dalle ditte) al mese. E costano al sistema-paese quasi due miliardi di euro anno l´anno.

Diciamo le cose come stanno. Nessun paese può permettersi un sindacato così costoso. Un sindacato per che per questioni ideologiche dice no alle gabbie salariali (e condanna quelli del sud alla disoccupazione perenne).

Un sistema per salvare qualcosa, comunque, ci sarebbe. Questo sindacato dovrebbe, nel giro di 100 giorni, presentare un «piano industriale» su stesso, contenente nuove regole democratiche, finanziamenti, procedure, ambiti di intervento, ecc. E nei vertici, come accade per le società per azioni ormai, dovrebbe esserci largamente posto per le minoranze (ma non quelle interne, quelle esterne).
Non se ne farà niente. I sindacalisti sanno che il Paese ha ben altro a cui pensare. E così tirano avanti. Sicuri di essere ancora lì fra dieci anni.

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