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CURVA INVERTITA: TUTTO QUEL CHE DOVETE SAPERE

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L’ultima parte del 2005 è stata caratterizzata dall’accendersi di una discussione animata tra gli addetti ai lavori, e forse ignorata dal grande pubblico, riguardo la condizione della curva dei tassi negli Stati Uniti. Mentre gli investitori si godevano il rally di fine anno delle borse gli operatori più attenti avevano infatti aperto gli occhi sull’andamento convergente dei rendimenti sui titoli governativi Usa con scadenza a due anni e su quelli dei decennali.

E proprio in chiusura di anno, per la prima volta dal dicembre 2000, è stato possibile assistere al sorpasso del rendimento offerto dal benchmark a due anni nei confronti di quello a 10 (entrambi in area 4,40%, con il 2 anni di qualche decimo superiore al titolo con scadenza più lontana). Il fatto che tale evento non si verificasse da un lustro lo rende già di per se un qualche cosa di eccezionale, degno perciò di essere analizzato.

Se si considera poi che tale condizione si era realizzata in precedenza all’inizio degli anni ottanta e degli anni novanta, oltre che nel 2000, in coincidenza quindi con l’avvio di gravi fasi di recessione, si è costretti a considerare con molta attenzione ed un pizzico di preoccupazione il fenomeno, cosa che appunto stanno facendo gli osservatori più attenti dei mercati finanziari.

Nell’economia classica, l’inversione della curva dei tassi viene letta come un fenomeno negativo: se il mercato “prezza” il rendimendo di un titolo a lunga scadenza più di quello di un titolo a breve significa che ha forte aspettative di ribassi dei tassi nel medio lungo termine. Questo accade di norma perchè gli operatori anticipano l’avvio di una fase recessiva e quindi anche un consono comportamento futuro della Banca Centrale, che sarà costretta ad adottare una politica monetaria di allentamento per ridare fiato all’economia in recessione.

Basandosi unicamente sulle esperienze passate sarebbe quindi possibile dire che la recente inversione della curva è una prova del fatto che non solo il ciclo dei rialzi dei tassi negli Usa è giunto ormai al termine, ma anche che presto il nuovo Presidente della Fed sarà costretto ad avviare una serie di tagli dei tassi per fare fronte alle peggiorate (o peggiorande) condizioni dell’economia. E dal momento che in passato i mercati azionari, ovviamente molto sensibili al rischio di un calo nel livello degli utili che le aziende sono in grado di estrarre dall’economia all’interno della quale operano, hanno reagito negativamente al verificarsi di una inversione della curva dei tassi, per alcuni è lecito anticipare anche in questo caso l’avvio di una fase negativa per le borse, potenzialmente anche di lunga durata.

La situazione non è tuttavia, secondo altri osservatori, primo tra i quali il Presidente uscente della Fed, Alan Greenspan, preoccupante: il rapido sviluppo economico di alcune aree del mondo, basato su di un aumento vertiginoso delle esportazioni (molte delle quali pagate in dollari), come in Cina ed in India, ma non solo, ha comportato un analogo aumento di domanda per i titoli di stato targati Usa da parte delle diverse Banche centrali. L’aumento della liquidità che sta alla base di questi acquisti non può che favorire anche la crescita dei listini azionari, che quindi dovrebbero riuscire a muoversi al rialzo anche in presenza di una curva dei tassi piatta o inclinata negativamente.

Per cercare di capire quale dei due diversi schieramenti, chi vede i listini azionari su dei massimi di periodo e chi invece ritiene che ci possa essere ancora molto spazio a disposizione per il rialzo, sia più vicino ad una interpretazione corretta della realtà futura si può fare riferimento al grafico di forza relativa che mette in rapporto l’andamento del titolo decennale Usa con quello a scadenza due anni.

Tale curva, ottenuta come rapporto tra le due diverse serie storiche dei prezzi, mostra una evidente fase di ribasso dall’ottobre ’98 e successivamente un rialzo tra il dicembre ’99 ed il giugno 2003, data a partire dalla quale si è evidenziato un percorso sostanzialmente laterale.

Se al grafico di forza relativa viene sovrapposto l’andamento dell’indice azionario S&P100 (il paniere che rappresenta i 100 maggiori titoli della borsa americana) risulta subito evidente un andamento speculare delle due curve: la borsa sale quando il prezzo del bond con scadenza due anni sovra performa quello del 10 anni, come nel periodo tra il ’98 ed il 2000, mentre tende a ridimensionarsi quando il 10 anni sovra performa, sempre in termini di andamento dei prezzi, il 2 anni, come nel periodo dal 2000 fino al 2003.

Ragionando in ottica di rendimenti sarebbe possibile affermare che quando i rendimenti del due anni salgono più lentamente di quelli del decennale la borsa evidenzia una tendenza di crescita, viceversa quando i rendimenti del 2 anni salgono più velocemente di quelli del 10 anni la borsa indietreggia.

Nel corso dell’ultimo biennio la curva di forza relativa calcolata per i due benchmark obbligazionari si è mantenuta sostanzialmente stabile, così come del resto ha fatto la borsa: lo S&P100 aveva iniziato il 2004 a 550 punti ed ha terminato il 2005 a 570, con una variazione del 3,6% appena. La condizione di neutralità evidenziata dal grafico di forza relativa non potrà tuttavia continuare ancora per molto, dal momento che i prezzi sono compressi tra due linee convergenti, il supporto tracciato dal minimo di fine ’99 e la resistenza proveniente dal top del ’98.

Stando alle dinamiche recenti (violazione della media a 200 sedute a settembre e suo successivo test dal basso a dicembre) il grafico di forza relativa sembra puntare al ribasso. In caso tale ipotesi venisse confermata, oltre ad esserci come conseguenza una sovra performance del prezzo del bond a 2 anni rispetto a quello del 10 anni (e quindi presumibilmente un ritorno ad una inclinazione positiva della curva dei rendimenti, che dovrebbe neutralizzare tutte le preoccupazioni causate da una sua inversione), si creerebbero le condizioni per una nuova fase di rialzo della borsa Usa, con lo S&P100 destinato a lasciarsi alle spalle il trading range disegnato negli ultimi mesi.

Conferme in questo senso verrebbero con l’indice americano al di sopra della resistenza di area 590 (una resistenza che ha una criticità simile a quella di area 1250 per il più ampio S&P500, che si è lasciato alle spalle l’ostacolo ormai da novembre, salvo poi tornare a testarlo dall’alto nelle ultime sedute dell’anno), un segnale che lascerebbe spazio a movimenti verso quota 670 con un primo possibile punto di arrivo intermedio a 615 punti. Difficile, se l’indice saprà conformarsi con questa previsione, non immaginare un destino di rialzo anche per le altre principali borse, europee in testa.

Negativa invece la violazione da parte dello S&P100 del supporto di area 540. In quel caso il quadro grafico per la borsa (Usa, ma non solo quella) si farebbe critico, costringendo a rivalutare con attenzione il rischio del manifestarsi delle implicazioni negative derivanti dalla inversione della curva dei tassi dal momento che in quel caso, con i listini al ribasso, sarebbe logico attendersi una virata verso l’alto del grafico di forza relativa bond decennale / bond a 2 anni (e quindi anche un persistere della situazione tassi a media allineati o superiori rispetto ai tassi a lunga scadenza, tipica di una fase recessiva duratura).

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