New York – L’ Europa unita non sopravvive se non crea un’autorità finanziaria comune, in grado di stabilire le politiche economiche e fiscali per l’intero continente, e soprattutto di emettere bond». Su questo punto parlano con una sola voce, Tom Sargent e Chris Sims, poche ore dopo l’annuncio che hanno vinto il Premio Nobel. E poi aggiungono: «Illusorio pensare che potete salvare la moneta unica cacciando i Paesi più deboli: o ce la fate tutti insieme, oppure tutti insieme fallite». Parliamo con Sargent e Sims attraverso una conference call organizzata dall’università di Princeton, dove in questi mesi insegnano entrambi.
Come avete saputo di aver vinto il Nobel?
Sargent: «E’ arrivata una telefonata nel cuore della notte. Mia moglie è andata a rispondere ma non ha fatto in tempo. Abbiamo pensato che fosse un errore e siamo tornati a letto. Io però ho detto: questa è proprio l’ora in cui chiamerebbero dalla Svezia per il Nobel! Col mio smartphone ho cercato di capire da dove veniva la chiamata, ma è uscito fuori un prefisso del Texas. Pazienza, ho spiegato a mia moglie, era uno scherzo, torniamo a letto. A quel punto il telefono ha squillato di nuovo. Lei stavolta ha risposto e mi ha detto: se ti stanno facendo uno scherzo dal Texas sono proprio bravi, perché parlano con un pesante accento svedese».
Vi hanno premiati per i vostri studi su come le scelte di politica economica, tipo l’aumento dei tassi di interesse, condizionano il Pil e l’inflazione. L’America è in crisi: come se ne viene fuori?
Sims: «Non pensate che i nostri studi ci diano una risposta facile: servirebbero lunghe analisi dei dati per capire. In generale ritengo che le ricette giuste siano quelle proposte dal capo della Fed Bernanke: una politica monetaria accomodante, e interventi di lungo termine per risolvere i problemi di bilancio, senza creare shock nell’immediato».
Sargent: «Ma perché invece non mi chiedete dell’euro? Comunque, non è vero che la situazione economica americana è insostenibile, perché le regole del bilancio ci consentono di far fronte a tutto. Ciò che è insostenibile sono le promesse fatte dai politici sulla sanità, le pensioni, le tasse. Tutto sta a capire in quale ordine non verranno rispettate. Nel frattempo, però, questo ha un effetto sul comportamento delle persone, perché chi teme che salti per prima la social security fa scelte diverse da chi si aspetta una riduzione del Medicare o un aumento delle tasse».
L’America è scossa anche dalla protesta «Occupy Wall Street». I manifestanti hanno ragione o torto?
Sims: «Quando ero studente andai a Washington per marciare contro i test nucleari: sono ancora convinto che feci bene, e quindi non ho alcuna prevenzione contro le proteste. Il messaggio economico è un po’ contraddittorio e quindi consiglierei a quei ragazzi un po’ di prudenza, quando avanzano le loro teorie. Non c’è dubbio però che stanno esprimendo un disagio molto diffuso verso i politici, che non hanno ancora trovato soluzione alla crisi. Da questo punto di vista la loro azione è assolutamente legittima».
Parliamo dell’euro, allora: che fine farà?
Sims: «Uno degli studi che abbiamo fatto parlava proprio delle premesse precarie dell’unione monetaria. C’è un grave vizio d’origine: avete la banca centrale, ma non esiste un’autorità che possa decidere le politiche fiscali o emettere bond. Così, in situazioni di crisi come quella attuale, non si capisce chi abbia il potere di prendere le decisioni necessarie. Le prospettive dell’euro sono cupe, se non aggiungerete presto alla banca centrale un’autorità capace di emettere eurobond e coordinare le politiche fiscali».
Sargent: «Quando furono creati gli Stati Uniti, alla fine del Settecento, le condizioni dell’America di allora erano simili a quelle dell’Europa di oggi. C’erano tredici Stati che avevano tutti il potere di battere moneta, contrarre debito e decidere le loro politiche fiscali, a fronte di un governo federale estremamente debole. Questi Stati potevano addirittura decidere le proprie regole nel settore del commercio estero, esponendo l’America a forti penalizzazioni da parte di Londra. I padri fondatori, che in larga parte erano creditori dei vari Stati, scrissero la Costituzione proprio allo scopo di correggere questo vizio di fondo. Il governo centrale si fece carico dell’intero debito dei tredici Stati, che in cambio persero l’autonomia economica assoluta che avevano avuto fino a quel momento. Washington ed Hamilton alzarono le tasse fino all’85%, per saldare i debiti, e cominciarono ad emettere bond federali. Ecco, per salvarsi, l’Europa dovrebbe imparare la loro lezione».
Non sarebbe più facile seguire la strada del default e dell’uscita dei Paesi più deboli, dalla Grecia fino all’Italia?
Sargent: «Assolutamente no. Tra i tredici Stati che formarono gli Usa ce n’erano molti debolissimi, con debiti enormi. L’obiettivo dell’operazione di Washington ed Hamilton fu proprio quello di trasformare i creditori dei singoli tredici Stati negli investitori del nuovo e potente governo centrale federale. Quella scommessa pagò. Ma se voi europei non credete nel vostro progetto, non è spezzando gli anelli deboli che lo salverete».
Sims: «Chiaro. L’idea che l’euro possa sopravvivere cacciando gli Stati deboli è una pura illusione. Il progetto ha un senso solo se tiene insieme l’intero continente: o sopravvivete tutti insieme, oppure tutti insieme fallite».
DI PAOLO MASTROLILLI
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