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CRISI MONDIALE: E’ STUPIDO CURARE IL MALATO GRAVE CON UN’ASPIRINA

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(WSI) – La cosiddetta crisi dei mutui ipotecari subprime comincia ad intaccare anche l’economia reale. Tra le prime vittime è l’economia europea, che è stata indebolita non solo dalla crisi bancaria, ma anche dalla forza dell’euro e dall’impennata del prezzo del petrolio e delle altre materie prime. Infatti, nel secondo trimestre di quest’anno il Pil di Eurolandia si è contratto dello 0,2% rispetto ai primi tre mesi del 2008.

È la prima contrazione economica dalla creazione della moneta unica europea nel 1999 e la prima volta dalla recessione del 1992/93 che l’attività economica è diminuita nei 15 paesi che usano l’euro. Anche se l’economia europea è pur sempre cresciuta dell’1,5% rispetto al secondo trimestre dell’anno scorso, il termine «recessione» ritorna prepontentemente al centro del dibattito politico ed economico.


Le difficoltà dell’economia europea ravvivano le paure di una recessione globale. Infatti anche da un’altra economia, quella giapponese, che avrebbe dovuto dimostrarsi in grado di resistere meglio alla crisi del credito arrivano segnali preoccupanti. Nel secondo trimestre il Pil nipponico si è contratto dello 0,6%. La stessa strada è stata imboccata da Canada ed Australia e soprattutto dagli Stati Uniti, dove l’esaurirsi degli stimoli fiscali di Bush farà piombare (come prevede anche UBS) l’economia americana in recessione nel secondo semestre di quest’anno. La brusca frenata delle economie occidentali inciderà anche sulle prospettive del nostro paese.

I primi segnali cominciano ad emergere. La fiducia dei consumatori svizzeri è diminuita a livelli non più toccati dai tempi della stagnazione dell’inizio di questo decennio. Gli ordinativi provenienti dall’estero dell’industria delle macchine (un quinto dell’export elvetico) sono diminuiti e già nel mese di giugno le esportazioni di questo settore saranno inferiori rispetto a quelle dell’anno scorso. È quindi molto probabile che nei prossimi mesi vi sarà anche un forte rallentamento della crescita elvetica.

In questo quadro poco roseo l’unica incertezza riguarda la capacità di tenuta delle economie dei grandi paesi emergenti (Cina, India, Brasile, Russia, ecc.). Se anch’esse dovessero soccombere alle pressioni recessive dei paesi di vecchia industrializzazione, avremmo una pericolosa recessione globale. Il forte calo dei prezzi delle materie prime delle ultime settimane sembrerebbe confortare questa previsione. Invece è molto probabile che questi paesi continueranno a crescere, poiché il calo dei prezzi del petrolio e dei prodotti agricoli calmiererà l’inflazione e permetterà il varo di politiche fiscali di rilancio dell’economia.

Al centro della crisi finanziaria e ora anche economica sono i paesi di vecchia industrializzazione e soprattutto gli Stati Uniti, poiché la brusca frenata della crescita si accompagna alla crisi del mercato immobiliare e del sistema bancario e quindi ad una contrazione dell’erogazione dei crediti che riduce sensibilmente l’influenza della politica monetaria. E infatti dalla lettura di quanto sta succedendo negli Stati Uniti si può trarre la conclusione che per uscire da questa crisi non saranno sufficienti le tradizionali manovre di politica economica, ossia la combinazione di riduzione del costo del denaro con pacchetti fiscali tesi a ridare fiato ai consumatori.

Queste misure permettono unicamente di guadagnare tempo, ma sono inadeguate rispetto ai problemi che stanno frenando l’economia. Queste politiche mirano a ricreare le condizioni che hanno provocato questa crisi: spingere le famiglie americane a spendere aumentando il loro livello di indebitamento, ritenuto da tutti già eccessivo. Paradossalmente, si sta ripetendo esattamente quanto fece la Federal Reserve di Alan Greenspan all’inizio di questo decennio dopo il crollo delle borse, sebbene quella politica monetaria sia ritenuta da alcuni la responsabile della situazione di oggi.

Invece per affrontare una crisi, come l’attuale, determinata da un eccesso di credito erogato dal sistema finanziario e per converso da un eccesso di debito delle famiglie, occorre riorientare completamente il mix della politica economica. I consumi delle famiglie non dovrebbero essere sostenuti da un ulteriore aumento del loro indebitamento, ma da un incremento dei loro redditi attuato attraverso un’adeguata politica fiscale. La crescita dovrebbe essere trainata da grandi investimenti pubblici nelle infrastrutture. Il sistema finanziario dovrebbe essere risanato dalle radici. Oggi non vi è consenso per il varo di queste politiche, ma nel prossimo futuro la gravità della crisi le riporterà in auge.

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