(WSI) – Romano Prodi, si racconta, ci è rimasto di sasso. Era stato pochi giorni fa al Quirinale. E nel colloquio con Carlo Azeglio Ciampi aveva ribadito al capo dello Stato perché era contrario a qualunque riforma elettorale di fine legislatura. Ma ieri mattina ha constatato che Massimo D’Alema, presidente dei Ds e uno dei suoi alleati più potenti, nell’intervista al Corriere ha chiesto una modifica del sistema di voto. E a sorpresa il sindaco di Roma, il diessino Walter Veltroni, gli ha dato man forte, affermando: «Sono d’accordo con la proposta di D’Alema». Da quel momento, però, sulla vicenda è sceso il gelo del centrosinistra.
Il problema non è tanto il merito della riforma dalemiana, opposta a quella del governo: è il fatto stesso che sia stata ipotizzata. I ringraziamenti sarcastici del fronte berlusconiano vanno letti in coppia con l’irritazione dei prodiani. La maggioranza esulta perché ha avuto una sorta di via libera, almeno di principio: parlarne non è più un tabù.
Facendosi scudo con le parole del presidente dei Ds, il coordinatore di FI, Sandro Bondi, annuncia: «Nessuno potrà negare il diritto di iniziare la discussione in Parlamento». Il presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, compie il passo successivo: «Ciascuno si predisponga ad accettare il possibile approdo».
Sono segnali di chi si sente più forte e intuisce la debolezza dell’opposizione. Quando ieri i fedeli di Prodi hanno bollato D’Alema come «imprudente», e ripetuto che non si poteva cambiare in corsa la legge elettorale, davano voce al disappunto del loro capo. Per questo, D’Alema lo è andato a trovare nella sede di piazza Santi Apostoli, a Roma. E in serata è stato intervistato dal Tg3, al quale ha spiegato che il sistema di voto va riformato tutti insieme; ma che siccome l’accordo non c’è, non se ne farà nulla.
È una correzione di rotta chiesta e ottenuta, sembra, dallo stesso Prodi. Il Professore si prepara ad una campagna elettorale muro contro muro. E ritiene che siano inutili, anzi controproducenti i tentativi di dialogo col centrodestra. In più, reazioni come quella di Casini lo hanno rafforzato nella convinzione che Berlusconi voglia andare avanti comunque; e che i rapporti di forza parlamentari esimano Palazzo Chigi dal bisogno di cercare sponde nell’opposizione. Ma la vicenda segnala la confusione che persiste nel fronte prodiano; e la fragilità delle mediazioni che preparano l’accordo sulle regionali del 3 aprile 2005.
Il dettaglio che quasi nessuno fosse informato dell’iniziativa di D’Alema accentua l’immagine di una sinistra sfilacciata: comunque, condannata a entrare in tensione e a sospettare manovre ostili degli alleati su ogni questione. Per il momento, Prodi ha imposto la propria parola d’ordine, avvertendo che la legge elettorale non va cambiata. Non è chiaro, tuttavia, se si tratti di un malinteso residuo, subito chiarito, o di un assaggio di quello che accadrà di qui ad aprile.
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LEGGE ELETTORALE: PROPORZIONALE VERSUS MAGGIORITARIO
di *Mario Adinolfi
*Mario Adinolfi e’ il direttore di Media Quotidiano.
1. Novanta minuti di incontro tra Romano Prodi e Massimo D’Alema,ieri, per ribadire la linea unitaria del centrosinistra: nun se movemo da come stamo. Cos’era successo? Il presidente diessino in un’intervista al Corsera s’era permesso di replicare ai progetti
proporzionalisti di Silvio Berlusconi, proponendo la sua vecchia idea per consegnare alla Quercia l’egemonia sulla coalizione: il doppio turno alla francese, con diritto di tribuna (una manciata di seggi)per i partiti minori. Prodi ha preso D’Alema per le orecchie e gli ha detto che la legge elettorale non va toccata. Non va toccato niente:
nun se movemo da come stamo, appunto.
2. Ma la questione della riforma elettorale cova, come in ogni santa legislatura, sotto la cenere. Nella Grande Alleanza Democratica le posizioni sono le seguenti: Rifondazione comunista è schiettamente proporzionalista e ha presentato un progetto di legge per il sistema tedesco; i Verdi sono proporzionalisti, con le consuete sfumature diverse tra i vari esponenti; il Pdci è proporzionalista, almeno nell’impianto ideologico; i Ds sono per il maggioritario a doppio turno, con una parte del correntone che però vedrebbe bene il sistema tedesco; la Margherita è per il Mattarellum (la legge attuale) che mette d’accordo la spinta maggioritaria dei prodiani e l’istinto proporzionalista degli ex popolari; l’Udeur è proporzionalista.
3. E nel centrodestra? Forza Italia fa quello che dice il Capo e il Capo in questo momento è proporzionalista; An vede la proporzionale come il fumo agli occhi; la Lega sarebbe per il modello tedesco con soglia di sbarramento a livello regionale e non nazionale, per ovvi motivi di radicamento; l’Udc è un partito tutto proporzionalista con i due leader, Pierferdinando Casini e Marco Follini, che per anni hanno però celebrato le virtù del maggioritario. Non a caso lunedì il presidente della Camera ha ammonito i contendenti sugli esiti non sempre prevedibili delle riforme elettorali.
4. Guardando questo panorama, cosa viene in mente? Che una riforma elettorale bipartisan in senso proporzionalista (sulla base del modello tedesco) sarebbe possibile. E invece non si farà. Perché il Professore ha emesso la sua fatwa: con Berlusconi non si tratta. E allora Berlusconi farà la sua riformetta, riducendo da due a una le schede elettorali per la Camera e introducendo l’effetto trascinamento del voto per la quota proporzionale sul collegio maggioritario. Forse, per far contenta l’Udc, si reintrodurrà il voto di preferenza per la quota proporzionale. E’ una riformetta che serve al centrodestra per recuperare qualche centinaio di migliaia di voti (nelle tre elezioni svoltesi con il Mattarellum la coalizione berlusconiana ha preso sempre più voti sul proporzionale che nei collegi maggioritari). Il centrosinistra perderà un’occasione per sedersi al tavolo. D’Alema paga ancora il complesso della Bicamerale e della crostata mangiata a casa di Gianni Letta. Con Berlusconi non si tratta, gli è stato intimato. E con Berlusconi il centrosinistra non tratterà.
5. Nella Fed, però, i malumori rispetto alle posizioni ultimative espresse da Romano Prodi cominciano a montare. L’ultima uscita, quella delle liste uliviste collegate ai candidati presidenti alle regionali,ha mandato su tutte le furie la Margherita di Francesco Rutelli, che
rischia di veder prosciugato il proprio bacino elettorale. Nel Lazio, ad esempio, una lista Marrazzo per l’Ulivo ridurrebbe sensibilmente gli spazi di manovra della Margherita. La trappola prodiana lascia perplessi anche i Ds: Piero Fassino ieri a Ballarò si è lanciato in un appassionato elogio dei funzionari di partito. Tanto per far capire che sui mercenari Prodi ha preso una topica. E per ricordare al Professore che la corda non va tesa eccessivamente.
6. A proposito di mercenari. A bacchettare Prodi ci si è messo anche un monumento della sinistra italiana: Pietro Ingrao. L’ex presidente della Camera ha partecipato ieri a Planet 430, la trasmissione pre-serale condotta da Luca Telese e Vittorio Zincone su Sky, interloquendo con i leader dei movimenti giovanili di partito. Davanti a Simone Baldelli di Forza Italia, Antonio Iannamorelli della Margherita e Giorgia Meloni di Alleanza nazionale, il buon Ingrao ha difeso i giovani impegnati in politica anche se pagati. E poi ha ricordato un particolare inedito: da giovane partecipò come poeta ai Littoriali fascisti. “Con una brutta poesia”, s’è affrettato a precisare.
7. Acque ancora agitate al Tg5. Lamberto Sposini ha rifiutato la conduzione “per divergenze sulla linea editoriale” e si attende per lunedì la presentazione da parte di Carlo Rossella del piano editoriale. Intanto, per domani sera è prevista la sentenza al processo Dell’Utri e torna alla ribalta il caso Fabio Tricoli. Noi ribadiamo l’auspicio più volte espresso: non si manda il nipote dell’avvocato difensore a raccontare una sentenza. Sembra che persino Rossella se ne sia reso conto. Vedremo domani.
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