*Antonio Cesarano e’ Head of Market Strategy di MPS Capital Services. Questo documento e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come
definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.
(WSI) – L’andamento dei mercati degli ultimi giorni sta riproponendo il tema (crisi del credito) che sembrava essere parzialmente rientrato nel mese di ottobre. Di seguito riportiamo una sintetica ricostruzione di quanto accaduto cercando di rendere quanto più chiara possibile la trasmissione delle turbolenze sul mercato dei mutui a quelle sui mercati finanziari. Per chi non volesse addentrarsi troppo in dettagli può saltare la parte seguente indicata in corsivo.
La storia degli ultimi tre mesi
Tra luglio ed agosto emerge in modo forte il timore di rischi nel comparto mutui Usa parallelamente al ridimensionamento delle negoziazioni e dei prezzi nel settore immobiliare. Inizialmente l’attenzione era concentrata soprattutto sulla componente reale (i mutui appunto) mentre man mano è emerso in tutta la sua grandezza il problema dal lato finanziario causato dai titoli aventi come sottostanti i mutui come nel caso dei c.d. CDO. Successivamente è risultato più chiaro come tali titoli fossero nelle mani di veicoli finanziari esterni ai bilanci delle banche ma a questi ricollegati tramite le cospicue linee di credito erogate. Un meccanismo pertanto piuttosto complesso che in ultima analisi ha fatto perno su un’assunzione piuttosto semplice quanto fragile e cioè che gli investitori continuassero ad avere fiducia nella solvibilità delle attività sottostanti a tali titoli, rassicurati spesso anche dagli elevati livelli di rating forniti dalle principali agenzie mondiali.
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I veicoli lucravano il differenziale tra il tasso offerto da tali titoli ed il costo del finanziamento spuntato emettendo titoli a breve termine, le c.d. commercial paper. Ad un certo punto si è avuto però un effetto dominio: crisi del settore immobiliare con calo dei prezzi e delle negoziazioni, minore percezione di solvibilità dei mutuatari, maggior rischio percepito sui titoli aventi come sottostanti i mutui ed infine drastico calo degli investitori disposti ad acquistare le commercial paper a loro volta utilizzate per il parallelo acquisto di Cdo.
Come ormai è ben noto, tutte le banche centrali (compresa per ultima la riottosa Bank of England) hanno provveduto a cospicue iniezioni di liquidità, memori dell’esperienza del ’29: inutile in questi casi farsi prendere da considerazioni moralistiche quando è in discussione il cuore del sistema finanziario mondiale. La reazione delle banche centrali è stata proporzionale alla presa d’atto degli ammontari in gioco. Poco alla volta si è avuto una percezione tangibile del rischio, nel momento in cui anche poco dopo la presentazione delle trimestrali diverse banche, soprattutto Usa, hanno evidenziato svalutazioni per decine di miliardi di Dollari fino ad arrivare alle dimissioni eccellenti dell’ad di Merrill Lynch e Citigroup. Spulciando all’interno dei dati trimestrali forniti alla Sec, è emerso quanto fossero elevate le poste di bilancio iscritte in corrispondenza del c.d. livello 3, ossia quello corrispondente alle attività finanziarie valutate a modello e quindi sulla base di criteri fortemente soggettivi e di conseguenza suscettibili di svalutazioni. La sola Citigroup (la banca più grande al mondo per totale di attivo di bilancio) ha ricompresso in tale categoria ben 134Mld$. Un valore non da poco conto se si considera che la stessa Citigroup capitalizza al momento circa 150Mld$.
In poche parole, la forte creazione di liquidità avvenuta in passato, almeno quella collegata alla parte meramente finanziaria, è evaporata creando difficoltà di rifinanziamento da parte degli stessi attori finanziari che stentano a ritrovare fiducia l’un l’altro. Chi ha liquidità preferisce investirla in titoli di stato a breve piuttosto che reimmetterla nel circuito del mercato monetario che risulterebbe sulla carta ben più remunerativo.
Ad un certo punto però vi sono stati segnali di minor tensione. I tassi su mercato monetario gradualmente sono calati, pur rimanendo sempre elevati in assoluto. A favorire tale andamento hanno contribuito probabilmente le emissioni effettuate dal settore bancario che hanno liberato un po’ di “traffico” eccessivo sul mercato monetario. Vista la dimensione globale del fenomeno è lecito ipotizzare che siano intervenute le banche centrali in chiave di moral suasion invitando gli attori finanziari ad effettuare emissioni al fine appunto di evitare di intasare eccessivamente il circuito monetario. Tali emissioni sono risultate ben più costose rispetto a solo qualche mese fa ma in cambio il sistema finanziario ha cercato di ottenerne un ritorno più celere al normale funzionamento dei mercati monetari.
Perché tutta questa preoccupazione di normalizzare il mercato monetario? I motivi sono essenzialmente due: 1) la permanenza di tassi a breve su livelli molto elevati tende ad incidere notevolmente sui mutuatari a tasso variabile. In altri termini aumenta la rata e di conseguenza diminuisce la quota di reddito da destinare ai consumi con impatti negativi sulla crescita; 2) la difficoltà nel reperimento di fondi da parte del sistema bancario in ultima analisi può tradursi in una riduzione del credito erogato oltre all’irrigidimento dei criteri stessi di erogazione. Anche per tale via l’impatto sulla crescita sarebbe negativo, anzi si tratterebbe forse del rischio più elevato il cui rientro richiederebbe diverso tempo.
L’entità della gravità della situazione sul mercato del credito è stata testimoniata dal fatto che tra settembre ed ottobre si sono mosse le principali autorità Usa (governative e monetarie) per cercare di trovare una soluzione al problema.
Quali soluzioni sono state elaborate?
1. il governo si è dichiarato disposto a sponsorizzare un superfondo avente l’obiettivo di ricomprare i titoli aventi come sottostanti i mutui finanziandoli mediante l’emissione di commercial paper. In altri termini lo stesso identico meccanismo utilizzato dai veicoli finanziari con la rilevante differenza che in questo caso il veicolo (chiamato MLEC, acronimo di Master Liquidity Enhancement Conduit) beneficia della citata sponsorizzazione dello stato e delle linee di credito delle principali banche mondiali. In prima battuta hanno manifestato l’intenzione a far partire il fondo JPMorgan, Bank Of America e Citigroup per un ammontare di circa 80Mld$;
2) la Fed nella persona di Bernanke si è dichiarato favorevole all’ipotesi di vendita dei mutui c.d. jumbo alle due agenzie sui mutui Fannie Mae e Freddie Mac, previa però in questo caso garanzia (e non più solo sponsorizzazione) dello stato, necessaria per modificare l’attuale limite posto a 417.000$ nell’importo massimo acquistabile di ciascun mutuo. Una legge in tale direzione è stata già approvata dalla camera ed è in attesa del passaggio in senato.
Come si può vedere le autorità Usa hanno pensato ad una soluzione che poggia su due fattori: la parte finanziaria (CDO ecc.) viene gestita da una nuova entità mentre la parte reale (i mutui) viene portata in carico ai pluridecennali Fannie Mae e Freddie Mac.
Entrambe le soluzioni stanno riscontrando ostacoli. Nel caso del superfondo il principale punto è il valore di trasferimento dei titoli. Per superare tale obiezione soprattutto le banche Usa hanno dato luogo ad una serie di svalutazioni di portafoglio che hanno comportato dimissioni eccellenti. Come prima citato il rischio è che ancora non si sia toccato il fondo visto l’enorme ammontare iscritto nel c.d. livello tre.
La seconda soluzione invece sta incontrando difficoltà dopo che le due agenzie hanno esplicitato perdite trimestrali per oltre 3Mld$ al punto che Freddie Mac potrebbe essere costretta ad un aumento di capitale di ben 6Mld$, non poco per una società che al momento ne capitalizza circa 17. In altri termini risulta alquanto ostico immaginare che le due agenzie possano farsi carico dei mutui c.d. jumbo in un momento in cui versano già in difficoltà finanziarie. L’organismo di controllo (il c.d. Ofheo) ha dichiarato che a febbraio prenderà in esame anche l’ipotesi di eliminare i requisiti minimi più stringenti sul capitale imposti solo poco tempo fa, onde evitare che le due agenzie si trovino costrette a continui aumenti di capitale.
Ciò nonostante il ministro del Tesoro Paulson sembra essere determinato a supportare anche questa seconda soluzione dichiarando che le due agenzie devono rivestire un ruolo più ampio nel settore immobiliare, rispondendo alle critiche in questo modo: “this is not business as usual. This is an extraordinary situation”.
In altri termini la mano governativa e più in particolare di figure provenienti direttamente dal mondo della finanza (Paulson è un ex figura di spicco di Goldman Sachs) sta assumendo un ruolo chiave nella risoluzione della crisi in atto. Anche la Fed sembra attrezzarsi in questa direzione. Il nuovo presidente della Fed di New York (membro votante permanente all’interno del Fomc) a partire dal 2008 sarà Stephen Friedman, ex presidente di Godman Sachs nel periodo 1990-1994.
A capo della Fed di Chicago ci sarà invece John Canning, fondatore e presidente del fondo di private equity Madison Dearborn Partners.
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La ricostruzione sintetica degli ultimi tre mesi evidenzia come un fenomeno reale (la crisi immobiliare) si sia trasferito al settore finanziario a causa principalmente del legame esistente tra mutui e titoli collegati agli stessi (in modo particolare Cdo) con impatti soprattutto sui mercati monetari ( si vedano gli elevati ed anomali elevati livelli di Euribor). Fino ad ora le banche centrali hanno tamponato la situazione ed in buona misura i titoli sono rimasti li dove erano con però l’aggravio del rifinanziamento che in ultima istanza si scarica ancora sui mercati monetari.
Le 2 soluzioni proposte per tentare di fuoriuscire dalla crisi hanno in comune l’intervento dello stato diretto (garanzia) o indiretto (sponsorizzazione). Per ora però non sembrano soluzioni praticabili nel breve termine. Tutto ciò ovviamente salvo un’accelerazione imposta dal governo Usa.
Il dettaglio di quanto accaduto è però emblematico anche sotto altri punti di vista: 1) le cifre in gioco sono davvero elevate (si veda il caso di Citigroup) e non vanno computate considerando solo l’ammontare dei mutui subprime; 2) il principale rischio è il conseguente restringimento del credito erogato (c.d. credit crunch) che potenzialmente comporterebbe danni all’economia tanto maggiori quanto più lungo è il periodo di turbolenza sui mercati monetari.
I tempi di rientro non si presentano rapidi e probabilmente occorrerà buona parte se non tutto il prossimo semestre. In ogni caso una delle due soluzioni dovrebbe prendere piede,. In caso contrario i tempi potrebbero essere ancora più lunghi e gli oneri derivanti dal rifinanziamento delle posizioni sempre più gravosi.
Ne consegue che, stando anche al sondaggio tra banche effettuato dalla Bce ad ottobre, è lecito attendersi un restringimento del credito nel 2008. Il rallentamento dell’economia Usa dovrebbe essere piuttosto pronunciato con possibilità di crescita anche sensibilmente al di sotto del 2%. La Fed nel frattempo non potrà essere indifferente ed i tagli dei tassi potrebbe arrivare a portare i Fed Funds fino al 3,5% a fine 2008, se non addirittura su livelli inferiori nel caso di impatto più marcato sulla crescita.
Tutto ciò anche perché nel frattempo la situazione di crisi si sta estendendo dal settore mutui a quello delle carte di credito dove il tasso di morosità a 30 giorni è arrivato a settembre ai massimi da ottobre 2005.
La Bce dal canto suo dovrà ancora esitare qualche mese in vista dell’atteso quanto temporaneo rialzo dell’inflazione (nel primo trimestre potrebbe essere raggiunta la soglia del 3% a causa di uno sfavorevole effetto confronto) rientri. La prossima movimentazione dovrebbe però essere direzionata verso un taglio dei tassi a partire dal secondo semestre. I tassi a fine 2008 potrebbero arrivare al 3,5%. Se la situazione precipitasse uno dei tagli potrebbe essere anticipato al secondo trimestre.
Sul fronte tassi a lungo termine, se si osserva il trend primario degli ultimi 10 anni sia in area Euro sia negli Usa si osserva come quanto sta accadendo sta riportando il sentiero dei tassi all’interno di tale trend dopo che ne era stato toccato il limite superiore in seguito al rialzo degli ultimi 2 anni.
In sintesi: il 2008 potrebbe essere nuovamente un anno in cui il trend calante dei tassi potrebbe portare beneficio ai portafoglio obbligazionari.
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