Società

CREDIBILITA’ ZERO

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(WSI) –
La British Aerospace ha comprato alcune aziende americane della difesa, ma manager e ingegneri inglesi non possono avere accesso alle loro tecnologie ritenute dal Pentagono «strategiche» per la sicurezza nazionale e perciò rese inaccessibili a qualunque soggetto straniero. Una vecchia legge in vigore negli Stati Uniti vieta al capitale estero di acquistare una compagnia aerea americana. Il magnate australiano Rupert Murdoch si è dovuto fare cittadino americano per poter costruire un impero mediatico negli Usa (la rete nazionale Fox, varie «cable tv» e giornali come il New York Post).

Il liberismo economico che caratterizza il sistema americano non è assoluto: in alcune aree il possesso di aziende è sottoposto a vincoli anche più stretti di quelli in vigore in Italia. La vicenda At&t-Telecom, con la repentina decisione del gigante Usa di ritirare l’offerta per il controllo della società italiana, danneggia la credibilità del Paese come possibile partner industriale e finanziario non perché è stato rivendicato il ruolo strategico di un settore o di un’impresa, ma perché, ancora una volta, tutto ciò è avvenuto non al momento di fissare regole «uguali per tutti», ma solo dopo l’offerta lanciata da americani e messicani.

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Come al solito la politica italiana scopre l’interesse nazionale — una protezione che, con modalità e livelli di intensità diversi, c’è in ogni Paese — quando è troppo tardi. E si considera in diritto di rimettere indietro le lancette dell’ orologio. E’ un grosso errore. Nel merito perché, intervenendo «a posteriori», si finisce sempre per creare un’interferenza politica nelle dinamiche di mercato: oggi tra gli analisti Usa si parla di ritorno al vecchio dirigismo italiano e anche di uno sgradevole aroma di antiamericanismo diffuso da questa vicenda. Ma l’errore è anche nel metodo perché, osservato dall’esterno, lo spettacolo di esponenti politici che si azzuffano quotidianamente e di ministri che dichiarano a getto continuo pro e contro l’affare, è francamente desolante.

Probabilmente l’offerta dell’At&t non sarebbe andata comunque a buon fine, ma chi oggi gioisce per il «salvataggio della Patria telefonica», dovrebbe riflettere su un dato: At&t non stava cercando subdolamente il colpo gobbo. E’ solo la più grande società di telecomunicazioni del mondo (vale 242 miliardi di dollari) che, volendo crescere anche all’estero, aveva individuato la possibilità di acquisire un importante «asset» europeo con un investimento abbastanza limitato (2 miliardi di euro). Davanti alla levata di scudi, ha deciso di rivolgere altrove il suo interesse.

A noi rimane la proprietà nazionale di Telecom e l’immagine di un Paese nel quale è difficile investire. Incertezza delle regole, scarsa trasparenza, problemi di corruzione e illegalità dilagante li hanno anche altri Paesi. In genere sono quelli emergenti, come la Cina. Che riescono comunque ad attirare investimenti: le imprese rischiano perché lì il costo del lavoro è bassissimo e i mercati locali stanno crescendo molto rapidamente. L’Italia dovrebbe far parte di un altro mondo: quello delle democrazie industriali avanzate, che non crescono come l’Asia, ma hanno l’appeal della tecnologia, della stabilità e della credibilità.

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