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Crack Parmalat: Tanzi punito. Ma le banche la fanno franca

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La condanna in primo grado per bancarotta fraudolenta a Calisto Tanzi per 18 anni comminata a Parma si aggiunge a quella per 10 anni e 100 mila euro da restituire ai 32.000 piccoli risparmiatori fregati per aggiotaggio, comminata a Milano nel 2008 e nel 2010 confermata dalla Corte d’Appello. E’ una condanna dura, che colpisce anche con pene diverse numerosi amministratori, revisori e sindaci dell’allora capogruppo e delle società collegate estere ed italiane.

Ed è una condanna a mio avviso giusta, stante i 14 miliardi di euro del più grave crac della storia societaria italiana. E in considerazione delle incredibili falsificazioni degli attivi e delle disponibilità di cassa perpetrate per anni dalla Parmalat. Cerchiamo però di non dimenticare una cosa. Le banche la stanno facendo franca. Hanno transato per miliardi con la nuova Parmalat condotta in forma di public company da quello specchiato galantuomo che è Enrico Bondi, e solo dalla sua cocciuta onestà vengono i fondi volti a ristorare almeno in parte le perdite dei risparmiatori. Ma penalmente le banche la stanno facendo franca.

A Milano resta aperto un filone di responsabilità per aggiotaggio per soli pochi funzionari di banche estere, come BofA, Citigroup, UBS, Deutsche Bank, Morgan Stanley. Per il resto le banche, che hanno continuato per anni a piazzare sul mercato titoli Parmalat secondo Bondi nella piena consapevolezza dello stato di crescente e poi totale insolvenza, mentre gli istituti si dichiarano invece agnellini inconsapevoli e dunque prime vittime delle frodi di Tanzi e compagnia, quelle stesse banche ci hanno gua-da-gna-to. E questo grida vendetta. I conti sono questi, noti da ben tre anni fa quando furono presentati da Enrico Bondi in Tribunale.

Gli arranger bancari dei bonds Parmalat hanno infatti mediamente portato a casa il 93% della loro esposizione verso il gruppo, facendo marameo ai risparmiatori fregati. Per alcuni di essi l’incasso ha abbondantemente superato il 100% del credito. Questo è il risultato che si ottiene se si mettono a confronto i crediti delle banche così come apparivano nel giorno del default e gli importi da esse recuperati nel corso degli anni, e gli importi comprensivi dei proventi percepiti prima del crack, dei “collaterali” incassati al default e del valore delle azioni Parmalat ottenute con la conversione dei crediti. Il risultato di questi calcoli è pazzesco.

Ci ha guadagnato non poco Deutsche Bank: l’istituto tedesco, che il 27 dicembre 2003, all’insolvenza della Parmalat, vantava crediti per più di 154 milioni di euro, è uscito dal gruppo con quasi 217 milioni. Il 40% in più del credito originario. Deutsche Bank aveva curato parecchi prestiti obbligazionari di Collecchio, tra cui l’emissione “fantasma” del 13 settembre 2003, cosiddetta perché annunciata e annullata nello stesso giorno. E aveva lasciato correre le indiscrezioni di Borsa che le attribuivano, a pochi mesi dal crack, il 5% della Parmalat, con l’effetto di rassicurare gli investitori mentre l’azienda camminava sull’orlo del baratro.

Ci hanno guadagnato non poco UniCredit e Capitalia, poi fuse: le due banche hanno recuperato dalla Parmalat il 124% e il 123% dei rispettivi crediti, vale a dire 212 milioni e 533 milioni (Capitalia ci andava giù pesante, a favore di Tanzi). Il Monte dei Paschi e l’Ubs sono invece usciti alla pari: il primo ha recuperato il 102% del credito (113 milioni contro i 110 del default) e il secondo il 99% (451 contro 455).

Ma perché i crediti delle banche sono aumentati di valore? Per diversi motivi. Le quotazioni di Borsa della Parmalat di Bondi sono molto salite per il buon andamento della società. Le arcigne revocatorie di Bondi sulle cause per danni intentate sono andate benissimo, a cominciare da quelle americane aperte da Bondi negli Stati Uniti. I recovery ratio, i criteri di conversione adottati per trasformare i crediti in azioni, hanno naturalmente avvantaggiato le banche e punito i “piccoli” risparmiatori. Alla Eurolat, per esempio, all’atto del concordato banche come Capitalia si sono viste riconosciute una conversione totale pari al valore nominale del credito. Anche tra i fornuitori di latte, alcuni hanno visto triplicato il valore della conversione e altri no.

Le banche molto avevano lucrato sui sostegni che procuravano a Tanzi, altro che agnellini inconsapevoli. Dei 14,1 miliardi di risorse finanzarie assorbite dal gruppo nei cinque anni prima del crack — scrive il commissario governativo nella sua relazione sull’insolvenza — 13,2 miliardi erano stati procurati, in maniera diretta o indiretta, dal sistema bancario italiano e internazionale.

Orbene la bellezza di 5,3 miliardi su 13 si era automaticamente tradotta in oneri finanziari e commissioni sul debito incassati dalle stesse banche. In particolare, 2,8 miliardi erano finiti alle banche per nuove emisisoni e 2,5 erano serviti a rifinanziare le stesse banche che ruotavano emissioni precedenti con nuove a più alto rendimento e commissione. La Parmalat di Tanzi era costruita su cifre fraudolentemente false in maniera senza precedenti. Ma le banche ci hanno fatto fiumi di denaro. Tra proventi e commissioni percepiti negli anni pre default, UniCredit ha incassato 107 milioni di euro, Capitalia 267, Sanpaolo-Imi 104, Citibank 182.

In più, le banche avevano oculatamente coperto dal rischio i propri crediti. Ubs, Citibank, Deutsche Bank, Bank Of America, Crédit Suisse avevano stipulato dei credit default swap, comprando e rivendendo protezione contro il rischio d’insolvenza di parmalat da cui doviziosamente attingevano, dandole alcol come a un etilista. I cds bancari su Parmalat ammontavano a 7 miliardi di euro al momento del default. Ed è una stima di Bondi, perché naturalmente nessuna banca ha fornito i dati precisi.

Altre banche oltre ai cds avevano anche accesso a cash collateral, cioè chiesto e ottenuto dall’etilista Parmalat garanzie in denaro versate dalla Parmalat stessa, che la banca avrebbe successivamente incassato in caso di default. Così è stato per Bank of America, che la notte del 23 dicembre 2003 ha incassato puntualmente 148,1 milioni di euro di cash collateral che erano stati costituiti in precedenza da Parmalat: operazione ritenuta legittima dalla banca creditrice, ma indicata da Enrico Bondi come esempio di condotta delittuosa.

Questa è l’amara realtà, non cancellata dai 10 anni per aggiotaggio e dai 18 anni per bancarotta decretati dai giudici a Tanzi. I 162mila ex obbligazionisti poi divenuti azionisti della nuova Parmalat devono solo ringraziare Enrico Bondi, per quel po’ che hanno recuperato.

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