*Michele Pezzinga e’ lo strategist di CentroSim.
(WSI) – Visti gli scenari di crescita globale, è molto probabile che l’effetto
liquidità si confermi come il motore dei mercati azionari, se non proprio
per tutto il 2005, almeno nei suoi primi mesi. E’ quindi sulle sue
determinanti che vale la pena focalizzare, almeno in questa fase,
l’attenzione. Il dato confortante è che si tratta di un meccanismo in grado
di auto-alimentarsi e che al momento non sembra aver prodotto particolari
eccessi: i dati sulla raccolta del risparmio gestito, ad esempio, qui da noi
mostrano afflussi netti praticamente nulli sui prodotti azionari, e continui
switch solo tra liquidità e bond, nonostante le performance del 2004
indichino come vincenti i prodotti a contenuto azionario, con la sola
eccezione di quelli esposti sull’area dollaro.
A un anno gli azionari Italia
hanno reso mediamente qualcosa come il 13%, e un 8% nel caso di quelli euro,
contro performance mediamente inferiori al 2% per i prodotti di liquidità e
al 4,5% per quelli investiti in bond a medio-lungo termine sempre nell’area
euro. In passato, quando l’affezione per l’azionario era su livelli più
elevati, un simile confronto avrebbe fatto intravedere per gennaio
significativi switch a favore dei prodotti azionari, con tutti gli effetti
del caso per l’andamento atteso delle Borse.
Stavolta il pubblico dei
risparmiatori non sembra reagire, ma alla lunga un qualche cambiamento di
asset allocation in questa direzione andrebbe messo in conto, a ulteriore
sostegno dell’effetto liquidità già in atto sui mercati. Il punto chiave,
come più volte abbiamo detto, rimane la tenuta dell’obbligazionario su
questi livelli, in altre parole il fatto che i rendimenti alternativi
rimangano, su bond e liquidità, estremamente compressi. Su questi aspetti,
nonostante qualche segnale di nervosismo sull’inflazione tedesca di
dicembre, non nutriamo particolari apprensioni: tra la debolezza della
domanda interna e il calo dell’export sull’andamento del dollaro, una
sorpresa dalla crescita continentale nel 2005 appare davvero improbabile.
Semmai, il cambio dollaro/euro potrebbe giustificare ulteriori afflussi di
capitale di origine USA finalizzati a privilegiare, per motivi anche
valutari, proprio l’area euro.
Al di là dello scenario macro, e soprattutto delle incognite sulla discesa
del dollaro (il suo deprezzamento “controllato” potrà proseguire senza
problemi?), qualche perplessità emerge anche a proposito delle prospettive
di ulteriore rivalutazione dei singoli titoli, proprio il tema preferito da
coloro che prediligono un approccio bottom-up. I segnali che giungono dal
mercato, per chi li vuole cogliere filtrandoli con l’esperienza storica, non
sono dei più confortanti. Il movimento sulle azioni di risparmio e sulle
holding ci sembra uno di quelli che solitamente si accompagnano alla fine
del rialzo, quando, esaurito l’entusiasmo sui titoli principali, ci si
sposta prima sulle rispettive risparmio, poi sulle eventuali holding, e alla
fine persino sulle risparmio delle holding (il caso
Italcementi-Italmobiliare è quello più significativo, ed è tutt’altro che
isolato…).
Il tutto perchè non si intravede più un potenziale
significativo sull’obiettivo principale dell’investimento, e ci si gira
intorno puntando sui vari spread che consentono di acquisirlo con un qualche
sconto. Può darsi che esaurita questa frenesia il mercato possa ripartire
sui titoli guida, se il risparmio gestito avrà significative risorse nuove
da puntare sulle Borse; ma al momento ci pare di avvertire una certa
stanchezza di temi operativi, al di là dell’insistere ancora sulle
utilities, nonostante la strabiliante performance del 2004 (+25% da inizio
anno l’indice Eurostoxx di settore, la migliore davanti alle telecoms, altro
comparto difensivo e ad elevato rendimento, con un +15% sempre da inizio
anno, e ai materiali di base, +14,7% sull’onda del boom di metalli e materie
prime in generale) e sulle solite realtà a più elevato rendimento.
Come sul
mercato obbligazionario, siamo oramai alla selezione dell’investimento sulla
base della combinazione ritenuta migliore di rischio emittente e rendimento
atteso; e non è casuale la frequenza crescente con cui ci si sente chiedere
la lista delle azioni quotate ordinate per dividend yield. Questa
equiparazione è ancora più evidente nel caso dei rari trentennali corporate
in circolazione, ed è curioso notare come spesso abbiano fatto persino
meglio delle azioni dello stesso emittente; in questo senso, si potrebbe
dire che la vera scommessa del 2004 era soprattutto sul livello dei
rendimenti obbligazionari, e che quella poi rivelatasi altrettanto vincente
sulle azioni è emersa nel finale dell’anno solo come diretta conseguenza
della prima.
Il bond trentennale di France Telecom, grazie alla discesa dei
rendimenti ed alla compressione degli spread rispetto ai titoli privi di
rischio, da inizio anno ha registrato una performance del 12%, cui va
aggiunta una cedola dell’8%, mentre l’azione equivalente è salita solo del
6% circa, più un 1,5% di dividend yield. Nel caso di Telecom Italia, invece,
la ristrutturazione da poco annunciata ha premiato maggiormente l’azione,
con l’ordinaria che registra ora un ottimo +25% da inizio anno, cui va
aggiunto un 3,5% di dividend yield; il bond trentennale ex-Olivetti ha
registrato “solo” un +12%, cui va aggiunta una cedola di oltre il 7%: anche
qui, però, niente male…
In definitiva, nulla impedisce che l’attuale movimento sull’azionario,
legato alla scarsa attrattiva di rendimenti alternativi, possa proseguire
ancora per mesi, sebbene alcuni indicatori tecnici mostrino l’esigenza per
lo meno di una pausa (l’RSI settimanale sul Mibtel ad esempio ha raggiunto
un livello di ipercomprato superiore a quello toccato nel boom del 2000) e
la corsa frenetica su azioni di risparmio e holding evidenzi un certo
esaurimento di temi operativi.
La nostra preoccupazione rimane che un
confronto sempre meno solido con il costo-opportunità di bond e liquidità
rischi di sfociare in eccessi, laddove non si tengano più in debito conto i
problemi collegati alla crescita (economica e dei business aziendali) e alla
tenuta dei margini di redditività, due aspetti chiave del rischio azionario.
Al di là della direzione che prenderanno i mercati, un punto comunque
preoccupa noi broker: la bassissima volatilità corrente. L’indice VIX
sull’S&P 500 continua a scendere (è ormai sotto quota 12%) e sulla base di
alcuni altri indicatori la volatilità di Wall Street è ai minimi degli
ultimi 65 anni. La speranza è che con il Nuovo Anno cresca anche questa
componente chiave dei mercati, e con essa i volumi e l’incertezza sugli
scenari. Almeno ci si potrà sbizzarrire su differenti strategie di asset
allocation, al momento costrette a convergere sull’azionario anche in
presenza di crescenti rischi e sempre più scarse opportunità. Per ora,
comunque, valga per tutti l’augurio di Buone Feste!
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