Lo stato delle cose è gravissimo, ma così poco serio da volgere al comico. Una maggioranza con cento deputati in più nell´aula parlamentare s´imbarca, grazie a una commissione d´inchiesta, in un´operazione di demolizione dei leader politici dell´opposizione affidandosi a un facchino dell´ortomercato di Brescia (Igor Marini).
Un tipo così è stato cercato a lungo. È solo una “seconda scelta”. La prima scelta era stato un tale di nome Zagami. Si presenta come “Favaro” al vicedirettore del Giornale di Berlusconi. L´”operazione avanspettacolo” comincia in quel momento, a ben pensarci. Zagami racconta al Giornale di Arcore che il 29% di Telekom Serbia è stato pagato da Telecom Italia cash, in contanti infilati in sacchi di iuta che lui stesso, Zagami, ha trasportato in aereo a Belgrado conservandone un bel pacco per una tangente ai “comunisti” dei Ds.
Purtroppo questo Zagami è addirittura ristretto in un carcere francese per truffa. La faccenda salta fuori e di Zagami – che doveva essere ascoltato con grande urgenza dalla Commissione – non se ne sa più nulla. Zagami scompare, ma una prima patacca resta sul terreno ad avvelenare il campo.
La patacca è questa: Telecom Italia ha acquistato il 29 per cento di Telekom Serbia “pagando in contanti”. Sarebbe sufficiente prendersi la briga di leggere il “Rapporto Torkildsen” depositato alla cancelleria del Tribunale penale internazionale dell´Aja (dove si processa Slobo Milosevic per crimini di guerra) e sapere che il pagamento in contanti è una frottola. In quel Rapporto (pubblico) ci sono copie dei bonifici bancari del pagamento ad Atene, il trasferimento con bonifico da Atene a Belgrado (Repubblica ne ha dato già conto in luglio).
Niente da fare. In questa storia l´accertamento dei fatti conta un niente. Secondo gli sceneggiatori di questa cospirazione da operetta c´è bisogno di dire che il pagamento è stato in contanti per poter sostenere che c´è stata una tangente (stupidi, come se non si potesse pagare una tangente anche alla luce del sole, ufficialmente con un bonifico a un mediatore che si incarica poi di distribuirla ai corrotti).
Come che sia, la frottola ora è sul tavolo. Ha bisogno di trovare un padre (Zagami non vale nulla). Dall´oscurità di una vita affannosa, appare Igor Marini. Sembra l´uomo giusto. È disposto a dire che il pagamento è stato cash e che buona parte di quei soldi – qui pasticcia, dice 100, e poi addirittura 900 (quindi più degli 800 e passa pagati da Telecom) – li ha consegnati addirittura a Prodi, Fassino, Dini e per sovrapprezzo, allunga poi la lista a Rutelli, Veltroni, Mastella.
Ritorna in campo il Giornale di Arcore. Pagine su pagine. Per giorni e mesi. Un solo tormentone: la leadership del centrosinistra, a cominciare da quel Prodi che guiderà l´Ulivo (o quello che sarà) nelle Europee del prossimo anno, si è arricchita con la telefonia di Belgrado. Le prove? Igor Marini. I verbali di Marini. Le parole, la parola di Igor Marini. La maionese sembra pronta per essere sbattuta sulla faccia dell´opposizione.
Il 7 agosto, improvvidamente, la maionese impazzisce. Perché Marini vuole strafare e pronuncia troppo presto un nome. È il nome del presidente della Repubblica. È il nome che doveva galleggiare nel fondo di questo affare più che sporco, comico. Il timing prevedeva: frullare la credibilità dei leader del centrosinistra prima delle elezioni europee. Il progetto era lasciarli come anatre zoppe all´inizio della campagna elettorale imbastendo una gogna pubblica. Che si può immaginare.
Per sei mesi il Giornale di Arcore, i giornali controllati dal signore di Arcore, i telegiornali controllati dal presidente del Consiglio per via pubblica avrebbero potuto raccontare di Prodi balbettante dinanzi alla Commissione parlamentare. Magari mostrare il sudore che imperla la fronte di Piero Fassino, interrogato da Alfredo Vito, tangentista confesso e oggi spietato inquisitore della commissione Telekom…
Ma Ciampi no, diavolaccio di un Marini! Il nome di Ciampi doveva rimanere sotto traccia come una minaccia. Sarebbe tornato utile dopo. Dopo. Tra la fine del 2005 e l´inizio del 2006 quando, magari, è necessario che il capo dello Stato tolga il disturbo per lasciar posto a Berlusconi.
Maledizione, Igor Marini si è lasciato prendere la mano e prima di lui quell´intemperante di Carlo Taormina.
In coppia hanno anticipato il nome. Il nome è finito nei verbali delle audizioni e, proprio quando si metteva bene, il gioco è diventato insostenibile. Perché anche in un´opera comica, se accusi un capo dello Stato di ospitare alla sua tavola un truffatore che distribuisce tangenti (e che tangenti!), uno straccetto di prova devi pure mostrarlo al mondo. E di fonti di prova, in questo improvvisato avanspettacolo di dilettanti, non ce n´è una. Nemmeno a cercarla con il lanternino della malafede.
Se ne accorgono anche nel partito di Arcore nel caldo di agosto. È il 9 di agosto. Quel giorno, c´è il cambio di strategia. Frena, arretra, inverti la marcia, cambia strada. Ciampi non si tocca. Il Giornale del Capo ha quella succulenta notizia in mano. Roba da spararci un titolo di prima (“Marini accusa Ciampi”) grande quanto quello per le Twin Towers e invece che fa?
Nulla. Registra la dichiarazione di Taormina in tre righe a piè di pagina. Titolo niente. Prima pagina niente. Un cerino spento. Cambiare registro è ora l´ordine della scuderia di Arcore. Sandro Bondi, coordinatore di Forza Italia, si precipita sul luogo del delitto, dà sulla voce all´intemperante Taormina. “Tirare per i capelli il capo dello Stato in questa brutta vicenda mi sembra una forzatura” (Messaggero, Libero). Lo ripete il presidente della Commissione parlamentare Enzo Trantino. “Il presidente che deve essere risparmiato persino dall´alone del sospetto” (Quotidiano nazionale).
Non può bastare. Non basta dire: Ciampi non c´entra. Quel nome eccellentissimo è nel verbale e, con quel precipitoso crescendo, Marini e Taormina hanno buttato per aria tutta l´operazione. Anche uno come Bondi o come Cicchitto capisce che il cacciaballe del mercato ortofrutticolo di Brescia va mollato in gran fretta se si vuole evitare che quella maionese impazzita macchi anche le loro grisaglie. E dunque non è più Marini il fondamento dello scandalo.
Ma sono le «responsabilità politiche», «gli omessi controlli», ora, il fondamento dello scandalo (come soltanto qualche radicale e nessuno dell´attuale maggioranza sottolineò all´epoca). Dopo l´inchiesta di Repubblica del 2001, quelle responsabilità da valutare sono sotto gli occhi di chiunque avesse voluto accertare i fatti e non imbastire un´operazione canaglia.
L´affare Telekom lo si può sintetizzare in qualche domanda che è sul tavolo da due anni. A chi e perché finì davvero il 3 per cento dell´importo complessivo dell´acquisizione? Perché Milosevic commentò questo pagamento con la frase “Questi mafiosi italiani…»? Chi, nel governo, diede il nullaosta politico a Tomaso Tommasi di Vignano, capo della Telecom, azienda pubblica? Perché, o per conto di chi, in poche ore, i greci della “Ote” misero sul tavolo oltre 600 miliardi per entrare in una trattativa già chiusa da 24 ore?
Qualche indicazione da seguire c´era. Repubblica ha indicato le società offshore di Milosevic su cui è transitato il denaro dell´affare, per dirne solo una. Si sono volute cercare le risposte nelle parole di truffatori che tornavano comode per un agguato politico. E più le risposte sono affondate in quelle ricostruzioni rabberciate, senza prove, incredibili, più un concreto, sereno e rigoroso accertamento dei fatti si è allontanato, si è spento.
Anche quando la commissione ha avuto sotto gli occhi tracce da approfondire non le ha viste, non le ha voluto vedere, accecata dal disegno degli improvvisati cospiratori. Qualche esempio che chiede chiarimenti (e chi era al governo allora avrebbe fatto bene a fornire tempestivamente). Non si sono accorti, i commissari, quanto clamorose (Repubblica lo ha già rilevato in luglio) potessero essere le parole di Mario Draghi, allora direttore generale del Tesoro. Telekom? Draghi: non ne abbiamo saputo nulla. Telecom? Draghi: è vero, il Tesoro era l´azionista di riferimento, ma non aveva un consigliere di amministrazione e il professor Lucio Izzo si confonde se sostiene di essere stato nominato dal Tesoro.
E Dini? Non ha saputo mai nulla e ha appreso dell´affare soltanto dai giornali, come ha dichiarato e dichiara? E Umberto Vattani, segretario generale della Farnesina? Anche lui ha saputo dai giornali? Addirittura sei mesi dopo, anche se, ma soltanto per caso, nei giorni della stretta della trattativa era proprio lì, a Belgrado? E Fassino, che riceve i dispacci allarmati dell´ambasciatore di Belgrado, ne parlò mai con Dini? E se ne dovesse aver parlato, come ha riferito il suo ex collaboratore Sannino, che cosa disse Dini?
Queste domande non hanno mai incuriosito gli affossatori dell´indagine Telekom. Modesti personaggi alla ricerca di qualche merito da sventolare alla presenza del Capo che, compiaciuto, deve aver seguito il loro lavoro. Ridicoli cospiratori che hanno organizzato una trama con ignobili protagonisti. È una trama che ora può travolgerli tra le risate che meritano.
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