(WSI) – I sistemi corruttivi italiani hanno conosciuto la loro stagione migliore probabilmente nel periodo che storicamente collochiamo al termine della prima repubblica e che siamo soliti indicare con il termine “tangentopoli”. Questo fenomeno mediatico – giudiziario pose fine alla prima parte della storia della Repubblica Italiana, ma certamente non creò freni inibitori al sistema della corruzione, da allora più raffinato e meglio congeniato. E’ di evidente apparenza che se in passato la corruzione ed il flusso di denaro circolavano sottoforma di finanziamento illecito ai partiti, oggi la corruzione si estrinseca in forme più raffinate e sotterranee.
Lo dimostra il fatto che secondo le analisi internazionali condotte da enti specializzati, nello specifico l’associazione Trasparency International, l’Italia figura al sessantatreesimo posto, in caduta libera rispetto al piazzamento dell’anno precedente (cinquantacinquesimo posto), proprio al fianco di paesi come l’Arabia Saudita e in coda rispetto a tutte le principali nazioni europee. E’ un dato allarmante. E lo testimonia anche la dichiarazione effettuata in apertura di anno giudiziario da parte del Presidente della Corte dei Conti: ogni anno si stima che gli italiani paghino una tassa occulta di 60 miliardi di euro dovuti al flusso di denaro derivante da corruzione.
Dicevamo in apertura che il sistema è lo stesso, nonostante le tecniche siano cambiate: non ci troviamo più di fronte ad un sistema rudimentale come quello che portò alla scoperta di tangentopoli, ma di un sistema più elaborato che permette al denaro di transitare da un soggetto all’altro senza che nessuno rischi direttamente di essere rintracciato. Fondamentale in questo senso è la tracciabilità del denaro, che in talune circostanze viene nascosta mediante una triangolazione che coinvolge più soggetti: un corruttore, un corrotto ed un mediatore (spesso un intermediario) che funge da tramite e permette di investire quel denaro senza che i soggetti appena citati vengano richiamati direttamente. La corruzione si trasforma in parcella fatturata, in appalto concesso, in un provvedimento firmato senza bisogno di emettere atto alcuno. Nessuna colpa, nessun colpevole.
Se in passato la tangente era messa a bilancio, oggi la corruzione passa per il “nero”, denari sottratti al fisco e non dichiarati da riutilizzare per fini illeciti e finanziare occultamente gare di appalti e concorsi pubblici. Probabilmente il sistema normativo italiano manca di alcuni elementi che consentano d rendere la lotta alla corruzione maggiormente efficace: ad un veloce sguardo al codice penale, ci accorgiamo che la fattispecie “corruzione” sia in realtà molto sentita, tanto da dedicarne numerose disposizioni (dall’art. 318 all’art. 322-bis c.p.); eppure è di tutta evidenza che per rendere il settore di maggiore efficacia si necessiterebbe l’ulteriore introduzione di un elemento: “il traffico di influenze illecite”.
La Comunità europea ha varato una direttiva di recepimento della Convenzione di Strasburgo che richiede l’introduzione in tutti gli stati membri della fattispecie “traffico di influenze illecite” al fine di punire quelle condotte con pene fino a sei anni per “chiunque, vantando credito presso un pubblico ufficiale…ovvero adducendo di doverne comprare il favore o soddisfare le richieste, fa dare o promettere a sé o ad altri denaro o altra utilità quale prezzo per la propria mediazione o quale remunerazione per il pubblico ufficiale”.
Nell’ultimo anno si registra un aumento delle denunce per corruzione e concussione, con un incremento del 229% rispetto all’anno precedente; eppure da un’indagine conoscitiva emerge che la fiducia degli italiani verso una risoluzione del problema non sia considerata fattibile, quasi come se la corruzione facesse parte del dna di questo paese e quindi non sia guaribile.
Dello stesso parere l’indicazione del GRECO (Groupe d’Etats contre la Corruption) del Consiglio d’Europa dal quale emerge che la corruzione è in Italia un fenomeno “pervasivo” e “sistemico” difficilmente sradicabile. Chiaramente la corruzione attrae la criminalità di stampo mafioso e la incoraggia a scambi di corruzione e favori per ottenere vantaggi. Ma non si tratta, almeno non solo, di un fenomeno prettamente criminale.
La corruzione viene posta in essere dall’imprenditore, dal concorrente all’appalto o al concorso, da chiunque abbia interesse a valicare le barriere della burocratizzazione che ingessa il sistema – paese e ostacola lo sviluppo interno. Per questo prima di combattere gli effetti è necessario a nostro avviso prevenire i sintomi, cercando di semplificare le procedure e snellire i tempi, nell’ordine di rendere inefficace qualunque sistema parallelo ed illegale. In sostanza, a nostro avviso, le cose non sono cambiate di molto negli ultimi 15 anni, ed è difficile stupirsi dei dati sopra menzionati. Eppure questa non vuol essere una resa nei confronti di un sistema governato dall’inerzia, ma al contrario una riflessione che sia da stimolo per evidenziare una via effettiva di risoluzione di questo gravoso problema.
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