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CONTINUANO LE FERIE RECORD DI BERLUSCONI

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Ci risiamo. Ogni volta che Silvio Berlusconi si assenta lungamente dalla scena politica, le voci sul suo stato di salute si moltiplicano. Anche il buen retiro in Sardegna non è sfuggito alla «regola del sospetto». È infatti dal 23 dicembre, giorno in cui il Cdm approvò il decreto salva-Retequattro, che gli altri leader della Cdl non vedono il premier. Alla stessa data risale l’ultima intervista, uscita il giorno dopo. Poi, solo pubblico silenzio.

Ecco dunque spiegato il moltiplicarsi dei rumours che viaggiano nei palazzi della politica. Come quello che indica negli acciacchi del premier la causa del mancato viaggio a Nassiryia (qualche azzurro se la sarebbe persino presa con Stefano Folli, che l’ha proposto). Alla malattia andrebbe imputata anche l’assenza all’ultimo Consiglio dei ministri, nonostante fosse considerato cruciale (complice il caso Parmalat).

E, ancora, la diserzione di ieri all’inaugurazione dell’anno giudiziario non sarebbe in polemica con i magistrati (il premier non si è mai defilato, li ha sempre sfidati apertamente) ma dovuta a un imprevisto dell’ultima ora. Anche senza credere ai pettegolezzi romani, secondo cui a Porto Rotondo sarebbe andato spesso Umberto Scapagnini, medico personale del premier prima di venire eletto sindaco di Catania, si tratta comunque di vacanze record per un primo ministro. E in villa, dove passeggia nel parco e dà una sistemata alle piante come un qualsiasi pensionato, Berlusconi non avrebbe neanche voluto consiglieri politici, ma soltanto Marinella e Valentina, le due segretarie più fidate.

Da Palazzo Chigi e dal quartier generale di Forza Italia ogni illazione è smentita con energia: «Queste voci sono pura menzogna»: il presidente, «per trovare la massima concentrazione, sta semplicemente lavorando in un luogo più riservato di Palazzo Chigi». I contatti con gli altri leader di destra del resto non mancano («Si sentono spesso»), così come non manca un’approfondita conoscenza della situazione politica, grazie al lavoro «romano» di Bonaiuti e Letta. Insomma, la ritirata sarebbe strategica, per preparare la grande cerimonia del decennale di Fi, il 24 gennaio. Ma soprattutto per guardare con distacco a quanto sta accadendo nel palazzo e trovare soluzioni, in attesa del rientro previsto (forse) per giovedì prossimo.

Vediamole, dunque, queste faccende romane. La prima, più impellente, potrebbe esplodere già oggi. Ieri, infatti, sul lodo Schifani la Corte costituzionale ha deciso ancora una volta di aggiornarsi. Questa mattina potrebbe però arrivare la seduta decisiva, durante la quale si dovrebbe decidere o meno la legittimità della legge che sospende i processi nei confronti delle cinque più alte cariche dello Stato. Il rinvio confermerebbe però le forti divisioni all’interno della Corte sulla soluzione da adottare. Al momento si registrerebbe un pareggio: da un lato sette giudici che insistono per la completa incostituzionalità del provvedimento; dall’altro, altri sette membri della Consulta che vorrebbero solo riscrivere la norma riducendo la durata dell’immunità a una sola legislatura. In mezzo, c’è l’ultimo giudice, assai incerto, diventato il vero e proprio ago della bilancia.

Chiaro che in caso di bocciatura dello Schifani, la verifica – per ora solo virtuale – subirebbe un’accelerazione violenta. E non perché il subgoverno An-Udc intenda cavalcare la Consulta («Sarebbe da sciacalli», dicono da via della Scrofa), ma perché il Cavaliere, già indebolito dal rinvio alle Camere della Gasparri, dovrebbe fare qualcosa per risollevare le sue sorti. E avrebbe dunque bisogno del consenso di tutti, della Lega che vuole le riforme come del subgoverno. Che ieri ha riunito riservatamente i suoi leader, Fini e Follini, in un incontro che ha confermato la loro completa sintonia. Di fatto, An e Udc arriveranno alla verifica con una piattaforma e un argomento comune. La piattaforma verrà formalmente elaborata da due gruppi di lavoro sulle materie economico-sociali – l’uno aennino, l’altro centrista – che si riuniranno prima singolarmente e poi collegialmente (ieri Fini ha annunciato il suo, oggi lo farà Follini al termine della direzione nazionale).

L’argomento comune è invece il seguente: la verifica è un’opportunità utile e necessaria per l’intera coalizione, e non per i singoli partiti. Non si tratta infatti di poltrone, ma di aggiornare tutti assieme il programma per rilanciare l’azione di governo. Per Fini e Follini, sta a Berlusconi cogliere tale opportunità. Ieri, in serata, il premier ha anche chiamato i due alleati, ma ponendo ancora una volta l’accento su Bossi: «È davvero infuriato», ha spiegato. Come se loro non lo fossero già.

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