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Consulenti, 7 cose da sapere sui clienti Millennial e Gen X

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Il peso specifico dei baby boomer sul risparmio complessivo è destinato a ridursi in modo importante nei prossimi dieci anni. Negli Stati Uniti il 45% della ricchezza sarà in mano a generazione X e Millennial entro il 2030.

Ciò avverrà come conseguenza di un massiccio passaggio in eredità da 24mila miliardi di dollari, secondo uno studio di T. Rowe Price. Tutto questo avrà implicazioni notevoli per la comunicazione della consulenza finanziaria, il cui core business tenderà a spostarsi sempre di più dalla generazione Boomer. T. Rowe Price ha condiviso sette considerazioni sul come le nuove generazioni vedono la figura del consulente.

  1. I risparmiatori più giovani: non credono che un consulente sia interessato a loro perché non si sentono “ricchi” a sufficienza, ha rilevato lo studio. Il gruppo più giovane, nato dopo il 1980 presenterebbe quella che T. Rowe Price chiama la “mentalità di scarsità”. Hanno assistito a due grandi recessioni, una guerra e ora una pandemia globale senza aver vissuto in prima persona la “prosperità” degli anni ’80 e ’90 in età adulta. Per tale ragione, questi risparmiatori sono più conservatori e avversi al rischio e la maggior parte non si sente abbastanza abbiente per permettersi un consulente. Il primo passo, per il consulente che desideri avvicinare questa generazione, sarà interagire attraverso i clienti attuali e raggiungere così i loro figli e nipoti.
  2. Evitare di mettere l’accento sul problema della pensione potrebbe essere un approccio più efficace per avvicinare generazioni che reputano che “la propria casa finanziaria sia in fiamme”. Il 10% degli intervistati hanno definito il debito come una priorità da risolvere. Il suggerimento, insomma, è quello di iniziare la collaborazione mettendo subito in chiaro quali sono le minacce immediate – per gli obiettivi a lungo termine si potrà procedere in un secondo momento.
  3. E’ importante tenere a mente che il 60% dei soggetti appartenenti alla Gen X e dei Millennial affermano di volere un “coach finanziario” che li motivi e li aiuti a raggiungere i loro obiettivi. Una percentuale ben più elevata rispetto ai clienti più anziani che “attribuiscono un valore molto maggiore alle competenze di investimento” (mentre solo il 22% desidera un “coach”).
  4. Per avvicinare le generazioni più giovani sarà utile evitare l’utilizzo troppo spinto del gergo finanziario. Secondo lo studio è utile adottare termini che rendano chiari i benefici: “salute finanziaria” e “prepararsi per il futuro” saranno più efficaci di “gestione del rischio” o “gestione del portafoglio”, ha rilevato lo studio. Così come “Financial coach” funzionerà meglio di “wealth manager”.
  5. I clienti più giovani sembrano preferire modalità di pagamento diverse rispetto alle generazioni più anziane. Secondo lo studio il 55% dei clienti tradizionali preferisce commissioni basate sulla gestione degli asset, mentre, al contrario, il 36% dei clienti più giovani è più propenso a pagare tariffe forfettarie per il servizio mensile o un abbonamento annuale, mentre il 33% preferisce commissioni basate su asset.
  6. Con i clienti più giovani, crescerà l’importanza di un’adeguata visibilità sui motori di ricerca. Il motivo è semplice: se per i Boomer 81% le referenze sul consulente provengono da fonti fidate, tale percentuale scende al 62% per Gen X e Millennial, che ricorrono a ricerche online nel 39% dei casi.
  7. La composizione etnica dei clienti potrebbe essere più variegata in futuro: per questo T. Rowe Price suggerisce di tenere conto delle diverse esigenze di ciascun gruppo. Ad esempio, per la metà degli afroamericani la costruzione di un fondo di emergenza è una priorità assoluta, mentre per il 44% dei latinoamericani il focus principale è sulla pensione (contro una media del 27% per la media di Gen X e Millennial); e ancora, per il 43% degli investitori Lgbt viene privilegiato il fattore sicurezza, con una più bassa tolleranza per il rischio.