Il contenuto di questa lettera e’ stato pubblicato dal quotidiano La Stampa. Esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente. La ripubblichiamo considerando l’intera questione assai attuale ed urgente. Con cio’ chiediamo anche un parere sia ai consulenti finanziari, sia ai risparmiatori: siete d’accordo, oppure no? E per quale motivo? scrivi qui
(WSI) – «Quella della consulenza finanziaria», scrive un lettore promotore finanziario e sindacalista, «è una realtà lavorativa in cui prevale uno stato di permanente tensione, rivolto al raggiungimento di sempre nuovi e più ambiziosi risultati, che coinvolge, a cascata, tutta la catena di comando. A capo vi sono i responsabili e direttori di filiale, pesantemente sotto pressione per raggiungere i budget commerciali (il collocamento dei prodotti giudicati, di volta in volta, più remunerativi per la banca). Contemporaneamente, vengono allettati da incentivi economici, legati al raggiungimento degli obiettivi, che, in alcuni casi, possono rappresentare cifre di un certo interesse (decine di migliaia di euro per direttori di agenzie di grandi dimensioni)».
«Vi è chi cerca di non soccombere a questa logica piuttosto oppressiva, chi ne viene travolto, chi pensa che sia proprio giusto. Ognuno trasmetterà, di conseguenza, i messaggi aziendali ai sottoposti, consulenti e gestori finanziari, i quali, ogni giorno, sono impegnati con nuove campagne commerciali, chiamati a dare conto delle vendite, assillati dall’ansia per i budget da raggiungere. Anche loro sono incentivati da quote di salario variabile, ma con importi decisamente inferiori.
Il clima culturale in azienda li induce a credere che siano vincenti quelli che riescono a far mettere la fatidica firma ai clienti sul contratto e che realizzano sempre i budget, così come sono perdenti e fuori dal mondo quelli che hanno ancora una coscienza cui rispondere e non sempre riescono a raggiungere questi risultati.
Queste sono le tesi aberranti che vengono propinate nelle riunioni periodiche e nei corsi, sedicenti, di formazione, dove lo psicologo di turno viene a fare il lavaggio del cervello ai partecipanti per spiegare come strappare la firma al cliente (facendo le smorfie o la voce suadente) e come sia giusto esaltarsi per il risultato ottenuto. Il successo (la firma) prescinde da qualsivoglia analisi delle qualità del prodotto offerto, tema invece da non trascurare, come dimostra l’annuale (e molto critico) studio di Mediobanca sul risparmio gestito».
«Se questo è il contesto lavorativo, mi sento di affermare con convinzione non solo che esiste un problema di scarsa preparazione tecnica, ma che ciò è funzionale al sistema. Non stupisce che si moltiplichino le denunce sulla crescita di disturbi psicologici e nervosi nella categoria. Faccio parte di un piccolo ma combattivo sindacato, che si è sempre battuto per un diverso modello di lavoro, che preveda una figura professionale in grado di sapere realmente che cosa stia facendo, che abbia una vera preparazione sui prodotti finanziari, che sia in grado di dare davvero consulenza al cliente e non eserciti solo il mestiere del piazzista spingendo il prodotto sollecitato, di volta in volta, dalla banca.
Vorrei ricordare come, a parole, le banche affermino che la tutela del cliente è al centro della loro attenzione (vi sono documenti che enunciano nobili principi, come il Protocollo etico firmato dall’Abi prima del rinnovo dell’ultimo contratto), ma la realtà quotidiana, fatta di budget da raggiungere e campagne commerciali da portare a termine, mi induce a ritenere che in Italia si sia ben lontani dal rispetto dell’articolo 47 della Costituzione, laddove recita che “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio”.
Dovendo individuare le ragioni di questa deplorevole situazione, io le cercherei, in sintesi, nelle modalità del processo di privatizzazione delle banche avviato nel 1990, che ha prodotto un sistema oligarchico, dove la competizione consiste nella spremitura di commissioni e spese dai risparmi della clientela, oltre che nella riduzione del costo (quello fisso) del lavoro».
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