Alla fine degli Anni 80, quando i leghisti più ruspanti volevano marciare alla conquista di Palazzo Marino, Umberto Bossi al debutto come senatore rispondeva con la frase di chi è cresciuto nelle campagne: «Calma, le albicocche vengon giù quando la pianta è piena». Per dire che ci vogliono i voti, come capitò appena qualche anno dopo, con Marco Formentini eletto sindaco di Milano nel ’93. Era la Lega tutta di lotta, di rabbie, di speranze, quella.
Oggi è una Lega tutta di governo, di politica, di moderazione. Se resterà ancora a Palazzo Marino, come Bossi ha già messo in conto, Letizia Moratti dovrà dire grazie a questa Lega.
Non è detto che a Bossi dispiaccia quest’immagine moderata della sua Lega. «Con gli anni si cresce e si cambia, e io sono diventato un mediatore», ha ammesso lunedì. E’ la Lega di mediazione. Per le regionali del 2000 aveva fatto scandalo la campagna elettorale a Milano: «Bastoni contro l’immigrazione», si leggeva su manifesti e adesivi. Titoli di giornale e commenti li avevano trattati con severità, ma era lo slogan di Max Bastoni, ora candidato per Palazzo Marino. «I milanesi vengono al mio tavolino -racconta Bastoni- e mi dicono “Votiamo per voi, perché i moderati siete voi, non la Moratti e Berlusconi”. E qui si vota per la città, non per le menate su cosa faceva Tizio trent’anni fa».
Ecco, a marcare le differenze, ad approfondire la crepa tra Lega e partitone del premier, mancava solo l’assalto di Moratti al suo competitor. Bossi ha subito chiuso la pratica, «Io non l’avrei fatto», Roberto Calderoli anche, tranne Borghezio leghisti in silenzio e su La Padania manco una riga. Tutti in linea, a ben guardare, con l’ultima raccomandazione di Giorgio Napolitano: «Rispetto reciproco». L’ha confermato anche Bossi, l’altra sera dopo il comizio di Desio: «Io sto can Napolitano». Ed è sembrata una sottolineatura voluta, un voler ribadire le differenze, le distanze dall’assalto di Moratti e poi dal soccorso diretto del premier.
Moderata o di mediazione la Lega sa che lunedì pomeriggio i risultati la potrebbero premiare, e proprio a danno del Cavaliere, e perfino della Moratti, dovesse andare al ballottaggio con Giuliano Pisapia. La partita vera, avviata dall’intemerata di Bossi sulla guerra in Libia, tra meno di 100 ore avrà un primo vincitore. L’obiettivo, anche se non dichiarato da via Bellerio, è avanzare, o addirittura superare il Pdl, ovunque ci sia un seggio. Il massimo sarebbe il ballottaggio a Bologna, dove ha il candidato Manes Bernardini. Il minimo il ballottaggio a Milano. Nel mezzo la vittoria dove la Lega va da sola o governa, vedi Gallarate, Varese, la provincia di Mantova.
Quel che i leghisti in queste ore non ammetteranno mai, anche se è una storia in parte già scritta, è che Milano resta un bel problema. Basta fermarsi in qualche gazebo leghista, e ascoltare non tanto quel che dicono i candidati, ma quel che si sentono chiedere. «La Moratti sta facendo una campagna elettorale che noi non faremmo mai – spiega Paolo Guido Bassi, aristocratico milanese e candidato per Palazzo Marino -. Ci sono vecchi elettori cattolici che non la voterebbero più e vengono da noi a sfogarsi. Sarà la vittoria della Lega, non della Moratti. E questo non è per la nostra moderazione, ma per la nostra politica».
Non volevano la Moratti candidata, anche questo è noto. E un ballottaggio a Milano permetterebbe alla Lega di sfruttare questo peccato originale. «Se perde la Moratti perde Berlusconi», ha già stabilito Bossi. E per stare in tema, due settimane fa al comizio di Domodossola l’aveva buttata li’: «Se non si passa al primo turno, al ballottaggio diventa sempre difficile». L’abilità riconosciuta a Bossi è quella di sapersi infilare nelle difficoltà altrui, specie degli alleati. E lunedì sera, letti i risultati, potrebbe presentarsi ad Arcore con una lunga lista. E se con Bossi vince la sua politica moderata, Berlusconi avrà da pagare prezzi smodati.
Che poi è moderazione fino a un certo punto. Né Bossi né la Lega cambiano linguaggio, sempre diretto, al massimo sfumano sui toni. Matteo Salvini, futuribile vicesindaco nel caso di vittoria milanese, dice che «la Moratti ha detto una bugia». Così come spiega che «le categorie professionali della città mal tollerano questa politica ultrà del berlusconismo, è una strategia che non convince e non premierà. E’ vero, per i milanesi i moderati siamo noi». E a questo punto si completa il paradosso, o la conversione sulla via del voto. Come dice Pierferdinando Casini, «a Milano il moderato è Salvini, l’estremista è la Moratti». E Bossi potrebbe ringraziarli tutti e tre.
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