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COME USCIRE DALLA BUSHONOMICS

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(WSI) – Se i liberals e i new democrats a volte sembrano i Hatfield e McCoy del centro sinistra (una faida in stile Capuleti e Montecchi all’origine dell’astio tra West Virginia e Kentucky), è perché siamo entrambi convinti che valga la pena di lottare con passione per lo spirito progressista americano. Questi contrasti in famiglia, il più delle volte, riflettono divergenze di principio sulla strategia migliore per realizzare una società equa ed una maggioranza progressista che la sostenga. Ma sebbene siamo ancora in disaccordo su alcuni dettagli, dopo anni di radicale predominio conservatore sulla politica nazionale ci troviamo profondamente d’accordo su un fatto: la destra radicale sta sbarrando gli accessi alle opportunità per molti lavoratori americani.

Questo predominio della destra ha però prodotto una nuova unità nello schieramento progressista. Con questo spirito, alcuni di noi si sono riuniti, nel segno di una tregua, per elaborare un’alternativa alla Bushonomics: una strategia progressista per far crescere la classe media.

Riconosciamo che non è giusto incolpare i presidenti di tutto ciò che va storto durante il loro mandato, né riconoscergli il merito di tutto ciò che va bene, anche se gli elettori lo fanno comunque. Ma è corretto giudicare i presidenti per come giocano le carte che la storia dà loro. In questo senso è corretto concludere che negli ultimi tre anni il presidente Bush non è stato capace di affrontare efficacemente il fondamentale problema economico americano: la perdita di 2 milioni di posti lavoro e la rottura del tradizionale legame tra crescita del prodotto interno lordo e crescita dell’occupazione.

Le politiche dell’Amministrazione non sono riuscite a ravvivare gli affari e la fiducia degli investitori nella nostra economia, o ad arginare le crescenti preoccupazioni del pubblico sull’outsourcing e più in generale su tutti gli scambi commerciali. Hanno reso il nostro sistema fiscale meno progressista, sottraendo al governo le entrate di cui ha bisogno per affrontare i nostri problemi interni e di sicurezza più urgenti, ed hanno sommerso il futuro dell’America con una crescente marea di conti in rosso.

Come i loro predecessori dell’età dell’oro di un secolo fa, i conservatori d’oggi hanno schierato il governo rigorosamente a difesa della ricchezza costituita e dei privilegi immeritati. Le loro politiche hanno arricchito le aziende ma non i lavoratori. Hanno spostato la pressione fiscale dai ricchi ai lavoratori. Ma nulla hanno fatto per affrontare i temi del costo dell’assistenza medica per la classe media dei lavoratori, della prospettiva di perdere il proprio lavoro come conseguenza dell’outsourcing o di scambi commerciali, o dell’impennata della povertà.

Forse ancora più pericolosamente, la destra ha dissipato l’ottimismo e la voglia di risolvere i problemi dell’epoca Clinton. Negli anni ’90, scaltre politiche pubbliche rafforzarono una robusta crescita economica e la creazione di posti di lavoro, nel settore pubblico prosperava l’innovazione, problemi a lungo considerati cronici – come l’aumento di criminalità e la dipendenza da un sistema assistenziale – cominciarono a trovano nuovi rimedi, e Washington dimostrò che si poteva fornire ai cittadini i mezzi e il potere per risolvere i problemi. Oggi invece regna il pessimismo. L’opinione pubblica è ampiamente convinta che il paese stia seguendo una strada sbagliata e si preoccupa per una ripresa che non crea lavoro, per la nostra capacità di competere nell’economia globale, e per il crescente isolamento dell’America nel mondo.

Una strategia progressista di crescita
Come affrontare la jobless recovery, gli enormi deficit, gli illeciti delle grandi corporazioni, gli squilibri nella crescita ed i rischi a cui la concorrenza estera di bassi salari espone ampie fasce della nostra forza lavoro? La destra non ne ha idea. Problemi simili richiedono risposte collettive, ma i conservatori radicali di oggi – rimangiandosi la loro stessa propaganda antigovernativa – considerano il governo più come un mezzo per accaparrarsi favori politici che non uno strumento il raggiungimento di obiettivi comuni.

I progressisti dovrebbero cominciare adottando sia un sistema di mercato più efficiente e meno viziato, che un nuovo slancio di attivismo pubblico. Entrambi sono essenziali per rinvigorire l’innovazione economica e la crescita occupazionale, e per garantire che tutti possano beneficiare della prosperità americana.
Tanto Bush e il suo gruppo favoriscono le imprese, tanto i Democratici dovrebbero battersi per una strategia progressista per la crescita che comprenda forze di mercato dinamiche, consistenti investimenti pubblici e le necessarie normative. Nessun economista serio dubita che il governo abbia un ruolo indispensabile nel facilitare il corretto funzionamento dei mercati.

Tramite le leggi e le normative, il governo deve arbitrare la concorrenza economica e impedire che i protagonisti più forti possano inquinare la competizione. Tramite gli investimenti nell’istruzione, la ricerca scientifica e nelle infrastrutture, deve correggere quelle incapacità del mercato a fornire beni comuni su cui si basano imprenditorialità e crescita. Indebolendo il governo si riducono anche la prospettiva di crescita e una più equa distribuzione dei frutti della prosperità.

L’erosione della middle class è il peggior incubo dell’America, il disfacimento del maggiore risultato progressista del XX secolo. Più i mercati globali diventano potenti, più i governi devono contrastare i dissesti e le ingiustizie che invariabilmente accompagnano i bruschi mutamenti economici. Il trucco, però, sta nello stimolare una mobilità di massa verso l’alto ideando mezzi moderni che agiscano in accordo con, e non contro, la natura del dinamismo economico e del progresso. La nostra strategia progressista per lo sviluppo mira a correggere il disequilibrio tra innovazione economica e opportunità economica. Si compone di quattro elementi principali:

1 – Come abbiamo imparato negli anni ’90, ristabilire una politica di bilancio disciplinata è alla base sia di una duratura crescita economica che di un governo responsabile. Riduce i tassi d’interesse, fornendo a consumatori ed imprese l’equivalente di un taglio alle tasse e, al tempo stesso, incoraggiando gli investimenti del settore privato. Cominciamo col ritirare le agevolazioni fiscali di Bush alle famiglie con redditi superiori ai 200.000 dollari annui e difendendo i tagli alle tasse per le famiglie a reddito medio-basso. Poi reintroduciamo la tassa di successione, aumentando l’esenzione per le fattorie di famiglia o le piccole imprese.

Questi interventi dovrebbero dare un risparmio di circa 550 miliardi di dollari nei prossimi 10 anni, spostando nuovamente l’onere fiscale dalle famiglie dei lavoratori a quelle ricche. E con un’evasione fiscale stimata a 200 miliardi di dollari, un lungamente atteso giro di vite sull’evasione di aziende e individui di fascia alta dovrebbe catturare una fetta consistente di questo gettito sfuggente.

La destra ha fatto quasi tanti danni sul versante della spesa pubblica che su quello delle tasse. Nessuno è di manica larga quanto il Grand Old Party: la legge sui trasporti recentemente approvata era infarcita di 3.251 “accantonamenti” – soldi aggiunti specificamente per lo stato o il distretto di particolari membri, o per interessi speciali – rispetto ai 538 previsti dalla legge sulle autostrade del 1991. Un importante disegno di legge per l’energia è fermo al Congresso, in quanto era originariamente portatore di 31 miliardi di dollari in tagli alle tasse per i produttori petroliferi, del gas, del carbone e dell’energia elettrica. Non sorprende, quindi, che anche il Wall Street Journal abbia accusato Bush di presiedere una delle «amministrazioni più sregolate dagli anni ’60».

Per frenare lo sperpero, dovremo ripristinare dei veri controlli di bilancio – comprese versioni più severe delle regole pay as you go, così efficaci nel contenere la spesa e i tagli alle tasse negli anni ’90 – e stabilire dei tetti di spesa. Dovremmo dare, in particolare, un giro di vite alle facilitazioni alle aziende, miliardi di dollari in agevolazioni fiscali e programmi di spesa a favore di società che non meritano o non hanno bisogno di sussidi governativi.

2 – Riportare Washington alla disciplina fiscale è un prerequisito per la rinascita di un’ampia prosperità in America. Ma non è di per sé un programma di sviluppo. Oltre a ridurre i deficit a lungo termine, la prossima amministrazione dovrà anche trovare i soldi per finanziare gli investimenti pubblici necessari all’innovazione e alla creazione di validi posti di lavoro.
La destra vuole mettere più soldi in tasca ai cittadini scaricando il peso di un enorme deficit nazionale sulla prossima generazione. I progressisti dovrebbero farlo all’antica, aiutando gli americani a guadagnare di più grazie a lavori più produttivi.

Nell’economia di oggi, è la popolazione colta – che comprende imprenditori, lavoratori specializzati, ricercatori di alto profilo e aziende all’avanguardia – a fornire la spinta per la crescita. In un mercato globale, la nostra economia deve concentrarsi sempre più su produzioni specializzate, ad alto contenuto di conoscenza. L’economia del XXI secolo cresce non perché produciamo le stesse cose in quantità maggiori, ma perché facciamo cose diverse e migliori.

Nell’era digitale il governo gioca un ruolo fondamentale nello stimolare lo sviluppo. Investimenti pubblici strategici in ricerca, istruzione e infrastrutture da new-economy come la banda larga e le autostrade intelligenti, come anche sull’indipendenza energetica, sono essenziali nel sostenere una cultura dell’innovazione ed energici aiuti istituzionali al cambiamento tecnologico. Il governo deve favorire una concorrenza libera ed imparziale difendendo i frutti della ricerca statunitense dai furti sui diritti di proprietà da parte di paesi stranieri, aprendo nuovi mercati così che aziende e lavoratori americani possano vendere i propri prodotti a paesi che fin qui sono stati ben felici di poter esportare in America mantenendo le proprie economie inaccessibili, e imponendo con maggiore severità il rispetto di accordi commerciali, sugli standard lavorativi e ambientali.

E’ inoltre essenziale che i paesi ricchi si decidano seriamente a ridurre i sussidi e le barriere commerciali che negano ai paesi in via di sviluppo opportunità di esportazione e crescita.

Investimenti pubblici ed incentivi per dare impulso alla ricerca scientifica, alle tecnologie, all’innovazione, all’istruzione e alle specializzazioni, sono essenziali per stimolare un’economia ad alto potenziale basata sulla conoscenza. Eppure, l’investimento pubblico a favore della conoscenza è calato. Sotto l’amministrazione Bush, la quota di Pil dedicata dal governo al sostegno della ricerca di base è diminuita. Abbiamo bisogno di nuovi e consistenti investimenti per scienza e ricerca, ad esempio altri 10 miliardi di dollari all’anno per il programma per l’infrastruttura cibernetica avanzata, di partnership tra università ed industrie per la ricerca, di tecniche produttive avanzate, e di una National Research Foundation più vigorosa.

Negli anni ’50, Washington lanciò il sistema autostradale interstatale, un’infrastruttura di rete per l’economia industriale post bellica. E’ il momento di intraprendere un analogo impegno nazionale per la creazione dell’infrastruttura di rete per l’economia fondata sulla conoscenza: “l’ultimo miglio”, la banda larga, le infrastrutture per le telecomunicazioni veloci domestiche. Non c’è alcun motivo, al di là di una carenza di leadership, per cui l’America debba restare indietro rispetto a nazioni come la Corea del Sud e il Canada nell’impresa della banda larga. Dovremmo porci come obbiettivo nazionale quello di portare la banda larga ad alta velocità a 75 milioni di abitazioni nei prossimi 10 anni.

E’ anche giunto il momento di implementare nuove iniziative in grado di elevare le capacità specialistiche dei lavoratori americani – ad esempio tramite partnership a livello regionale che consentano ad aziende, sindacati ed agenzie governative di collaborare alla creazione di nuovi programmi di formazione per le specializzazioni che il mercato richiede davvero.

3 – Oltre a far rientrare i tagli alle tasse dei ricchi operati da Bush, i progressisti dovrebbero impegnarsi a fondo per semplificare un sistema fiscale infarcito di detrazioni, crediti ed agevolazioni confuse, sovrapposte, inique e a volte inutili. Ad esempio, potremmo condensare i 25 incentivi fiscali esistenti in soli quattro provvedimenti mirati ad ampliare le opportunità per la classe media: un credito per l’opportunità di studio per qualunque studente frequenti un college o un corso di laurea; un credito per genitori single che rimpiazzi le quattro classi attuali (compreso il credito fiscale sui figli ed il credito sul reddito guadagnato) ed un’assistenza per le famiglie che sia maggiore della somma degli attuali incentivi; un conto previdenziale universale che incentivi tutti i lavoratori ad aprire un conto di risparmio pensionistico da mantenere anche nel passaggio da un lavoro all’altro; ed un credito fiscale rimborsabile per neoproprietari di case che sia accessibile a tutti i contribuenti, non solo quelli soggetti a particolari regimi fiscali.

Gli attuali scaglioni fiscali sono sbilanciati verso l’alto. I dirigenti più pagati ottengono anche i maggiori sussidi per le pensioni. Le case più lussuose producono le maggiori detrazioni fiscali per gl’interessi sul mutuo. Rivedendo queste preferenze fiscali verso il basso, potremmo sfruttare la politica fiscale per aiutare i lavoratori americani ad entrare nella middle class e dare alle famiglie della stessa middle class l’aiuto che meritano.

4 – L’odierna economia fondata sulla conoscenza ci pone di fronte ad un paradosso: all’aumentare delle opportunità sembra corrispondere una maggiore precarietà dei posti di lavoro. Ciò è particolarmente vero, visto come le rivoluzionarie tecnologie informatiche e le telecomunicazioni a basso costo continuano a trasformare le aziende, il lavoro ed i rapporti professionali, eliminando posti di lavoro attraverso l’automazione e consentendo il trasferimento di molti altri in zone con manodopera a basso costo, sia negli Stati Uniti e, sempre più frequentemente, all’estero.

Non possiamo riportare indietro l’orologio al tempo in cui un lavoratore poteva aspettarsi di lavorare tutta una vita per un’unica azienda (e nemmeno nello stesso settore). Quello che invece possiamo fare è ridurre gl’incentivi fiscali per attività economiche inefficienti motivate solo dall’elusione fiscale, e fornire ai lavoratori americani gli strumenti di cui hanno bisogno per affrontare i cambiamenti, gestire i rischi, e aumentare il proprio controllo sulla sicurezza delle loro carriere.

Si tratta di un fondamentale principio di equità: come possiamo chiedere ai dipendenti di sopportare i nuovi rigori della concorrenza globale quando i dirigenti d’azienda ottengono paracadute dorati anche dopo aver condotto la loro azienda al fallimento? Questo nuovo patto sociale dovrebbe offrire a tutti i lavoratori americani accesso alla formazione professionale per tutta la vita, fornire forme più efficaci di sostegno statale ai lavoratori in transizione, e consentire ad un maggior numero di dipendenti la possibilità di acquisire quote di partecipazione nell’azienda per cui lavorano e in generale di diventare possessori di beni finanziari.

Dovremmo stanziare generosi finanziamenti per la formazione professionale dei lavoratori che perdono il posto senza averne colpa, e dovremmo modernizzare il sistema di assicurazione contro la disoccupazione perché copra un maggior numero di lavoratori temporanei e della fascia a basso reddito e possa finanziare programmi di adeguamento professionale.

Queste nuove strategie per l’occupazione devono integrare e non sostituire la previdenza sociale. I lavoratori hanno anche bisogno di vecchie e comprovate strategie che ne aumentino la voce ed il potere contrattuale, che comprendono un aumento del minimo salariale, sindacati democratici e una riforma del Wagner Act che garantisca ai lavoratori di poter scegliere liberamente se votare per i sindacati, se lo desiderano. Causa il maggior livello produttivo e gli scambi commerciali, non avremo più la stessa proporzione di posti di lavoro nell’industria che avevamo un tempo. Ma in una nazione ricca come la nostra non c’è motivo perché ogni lavoro non debba garantire un reddito decoroso.

La prossima amministrazione dovrà agire con urgenza per tenere a freno i costi dell’assistenza sanitaria e indirizzare in modo irrevocabile l’America verso l’assicurazione sanitaria universale. Premi assicurativi in crescita, che spingono le aziende a ridurre le coperture ed erodono gli aumenti salariali, sono le prospettive che maggiormente preoccupano la middle class. Il nostro sistema di assistenza sanitaria non è solo inefficiente; è anche disumano, al punto di negare l’accesso ai servizi sanitari di base a 44 milioni di americani.

L’amministrazione Bush non ha alcun programma per affrontare questa doppia sfida. I progressisti non concordano forse sui metodi da impiegare, ma siamo tutti fautori di un’assicurazione sanitaria universale che garantisca ad ogni americano le stesse opportunità di scelta garantite ai membri del Congresso.

tratto da «The American Prospect».

*Robert Kuttner è condirettore di «The American Prospect».

*Will Marshall è presidente del Progressive Policy Institute, legato al Democratic Leadership Council.

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