NEW YORK (WSI) – Le dichiarazioni del direttore del canale televisivo francese TF1 avevano fatto scalpore, perche’ sono vere e attuali, almeno tanto quanto agghiaccianti. “Affinche’ un messaggio pubblicitario sia percepito, il cervello del telespettatore deve essere disponibile alla ricezione. Le nostre emissioni hanno per vocazione proprio questo: rendere i cervelli consenzienti. Divertirli, rilassarli tra un messaggio promozionale e l’altro. Quello che vendiamo a Coca-Cola e agli altri brand e’ il tempo del cervello umano ancora disponibile”.
Quello che Patrick Le Lay non avrebbe mai immaginato era il punto al quale sarebbe arrivato questo avvicinamento tra il cervello umano e le grandi multinazionali del commercio mondiale.
Il segno che i grandi marchi lasciano impresso nelle nostre menti e’ pertinente e profondo. Ed e’ tanto forte da influenzare la nostra percezione e trasformare la nostra esperienza quando consumiamo i prodotti in questione.
Lo rivela uno studio iniziato dagli Anni 80. Le donne che soffrono di mal di testa si sentono meglio quando prendono una pillola di una compagnia farmaceutica di aspirine molto conosciuta, piuttosto che di una meno mota. Il contenuto e la descrizione del farmaco erano esattamente identici.
Un’altra dimostrazione ce la offre la ricerca di due psicologi tedeschi, che si sono chiesti se questo effetto “grande marchio” puo’ essere traslato anche nell’universo dell’alimentazione, influenzando il nostro senso del gusto.
Per determinarlo hanno messo a punto un test di degustazione: a un gruppo di volontari, collegati a un sistema IRM di immagini di risonanza magnetica, e’ stato chiesto di assaggiare quattro tipi di bibite gasate diverse.
Prima di bere, veniva mostrato per mezzo secondo il brand della bevanda di riferiemnto (Coca-Cola, Pepsi-Cola, River Cola e T-Cola). Le prime due le conoscono tutti. River Cola e’ la marca generica di una catena di supermercati tedesca mentre T-Cola era stata presentata ai partecipanti come una bibita molto buona simile alle altre che ancora doveva entrare in commercio.
L’esistenza di T-Cola e’ stata completamente inventata dagli psicologi. L’idea era quella di proporre una bevanda completamente sconosciuta, di un brand non identificabile come gli altri. Ma l’inganno non si fermava qui. I quattro esemplari serviti ai volontari erano in realta’ rigorosamente identici, costituiti per un terzo da Coca, Pepsi e River Cola.
Come previsto dai ricercatori, i quindici partecipanti hanno avuto l’impressione che si trattasse di quattro bibite diverse tra loro e Coca e Pepsi hanno ottenuto voti di gran lunga superiori alle altre due bevande esistenti o presunte tali.
Ma il risultato piu’ sorprende riguarda le immagini proiettate dal cervello nell’impianto IRM. La degustazioni delle bibite che non erano state presentate come dei brand conosciuti hanno dato luogo a un’attivita’ della corteccia orbitofrontale piu’ elevate. A dimostrazione del fatto che il soggetto cercava di assegnare un valore al prodotto che stava assaggiando.
Per decidere se era buono o no, lo sforzo fatto per le pseudo-Coca e Pepsi era decisamente minore. Come se nel caso di River Cola e di T-Cola, il marchio non era un indicatore sufficiente per determinare se la bibita era buona o no.
Per le bevande conosciute questa zona del cervello era meno attiva, senza dubbio perche’ avendole gia’ assaggiate o avendo visto le pubblicita’ tanto care al direttore dell’emittente Tv francese, per i partecipanti sapevano gia’ piu’ o meno cosa aspettarsi.
Al contrario, un altro luogo del cervello si e’ “acceso” nel momento esatto della degustazione dei due brand piu’ noti: lo striato centrale, una regione legata alla ricompensa e al piacere.