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COME CAPIRE QUANDO SI E’ TOCCATO IL FONDO

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*Questo documento e’ stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist di Abaxbank ed ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori e clientela professionale ai sensi dell’allegato n.3 al reg. n.16190 della Consob. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

(WSI) – Nel suo primo anno la crisi è stata un mostro a tre teste, stagnazione, inflazione e riduzione della leva. La riduzione della leva, a sua volta, si è triforcata in riduzione della leva immobiliare, di quella bancaria e di quella personale.
Un aspetto preoccupante è che le tre teste sono nate ognuna con vita propria. Il rallentamento globale ci stava tutto dopo cinque anni di crescita e non aveva bisogno dell’inflazione o della riduzione della leva per manifestarsi, perché bastava il pieno uso, non più espandibile, delle risorse disponibili. L’inflazione, dal canto suo, è sembrata a un certo punto avere anch’essa vita propria quando il rallentamento della crescita ha tardato a smorzarla per via di shock da offerta sulle materie prime (gli shock da offerta, come un embargo o un conflitto, possono dare inflazione indipendentemente dal fatto che la crescita ci sia o non ci sia). La riduzione della leva, dal canto suo, a un certo punto c’è sempre e non è necessariamente causata dal rallentamento della crescita. Spesso, anzi, il rallentamento è proprio la riduzione della leva a causarlo (o, come in questo caso, ad accelerarlo).
Tre crisi autocefale complicano tutto, perché non è detto che risolvendone una si avviino a risoluzione anche le altre due. Vanno affrontate in parallelo. E’ come combattere tre guerre insieme. E’ probabile che il secondo anno di crisi sia un mostro con due sole teste, la stagnazione e la riduzione della leva. E’ probabile, e non certo, perché la terza testa, l’inflazione, è tramortita ma non è ancora caduta. La cattiva notizia, sull’inflazione, è che il petrolio è gravemente indebolito, ma non domato. Dietro a Gustav ci sono già in arrivo Hanna, Josephine e Ike, in quella che si profila come una stagione meteo particolarmente pericolosa.
C’è poi l’incognita geopolitica. Non la Russia, che è semmai una questione di medio-lungo termine, quanto l’Iran. Nei prossimi due mesi Israele si interrogherà a fondo con primarie, congressi e forse elezioni che avranno al centro la questione iraniana.
La buona notizia, sempre sull’inflazione, è che i termini del rapporto tra domanda e offerta sono cambiati con straordinaria rapidità nell’ultimo periodo non solo per il petrolio, ma per tutte le materie prime (l’ultima strenua resistenza, quella dell’acciaio, sta iniziando a cedere). Nel mondo si consumano 87 milioni di barili al giorno. Negli ultimi mesi la domanda americana è crollata di un milione, quella cinese è salita di 500mila mentre l’offerta Opec è salita di quasi un milione, grazie ad Arabia Saudita (che ha già riempito le casse e fatto il budget per quest’anno) e all’Iran (che ha bisogno di soldi).
Ci sono ovviamente delle incognite sul petrolio. Oltre a quelle già citate ci si può chiedere quanto a lungo durerà la riduzione dei consumi in America e l’aumento di produzione saudita. Si può però scommettere che crescita tendente a zero e disoccupazione verso il 6 per cento terranno bassa la domanda negli Stati Uniti, mentre dal lato dell’offerta i sauditi forzeranno i loro pozzi ancora per qualche tempo.
L’essere passati da un mostro tricipite a un mostro bicipite è stato accolto con comprensibile sollievo dai mercati e dalle banche centrali. Si è diffusa poi l’impressione che anche le altre due teste potessero essere meno minacciose di quanto si era pensato. La stagnazione è apparsa smentita efficacemente dal 3.3 per cento di crescita annualizzata del Pil americano nel secondo trimestre. Quanto alla riduzione della leva, il rallentamento della discesa dei prezzi delle case ha fatto pensare a una fine più vicina del circolo vizioso tra prezzi in discesa e pignoramenti.
In realtà le due teste rimaste sono destinate a fare loro la forza persa dalla terza e si profilano come avversari formidabili per i prossimi mesi. La crescita, infatti, è destinata a indebolirsi fino a raggungere lo zero. Parliamo dell’America, perché Europa e Giappone a zero ci sono già e ci rimarranno. Anche gli emergenti sono in rapida perdita di velocità (impressionante il crollo coreano) e solo la Cina, ci si augura, manterrà una velocità sostenuta.
Quanto alla terza testa, la riduzione della leva, bisogna fare un discorso separato per ognuna delle sue tre componenti.
La prima a manifestarsi un anno fa, la riduzione della leva immobiliare attraverso il default sui mutui e la restituzione della casa alla banca, è forse anche la prima che si avvierà a conclusione, perdendo gradualmente virulenza. Il motivo è semplice. La liquidazione dell’asset è brutale e rapida. Il privato proprietario non può abbellire il bilancio, rateizzare la svalutazione, classificare a livello 3 la sua casa o ricapitalizzarsi. Se non ce la fa (o se non gli conviene continuare a pagare il mutuo) restituisce la casa alla banca e se ne va in affitto.
Certo, i vari piani di rinegoziazione assistita varati da Congresso e amministrazione limitano qua e là i danni, ma in generale la riduzione della leva si fa nel modo più veloce, il default. Come dice Ethan Harris di Lehman, la crisi immobiliare è già al 65 per cento del suo percorso.
La seconda riduzione della leva, quella dei consumatori (che sono a debito non solo per la casa, ma per essersi fatti prestare i soldi per il Suv che non vale più niente, per la crociera ai Caraibi, per l’università dei ragazzi, per il dentista e il giardiniere) si aggraverà per l’aumento della disoccupazione, ma sarà se non altro alleviata dalla discesa del costo della benzina e del riscaldamento. In più, mentre la leva immobiliare va ridotta immediatamente, quella sui consumi verrà accorciata nell’arco di qualche anno, con tempi diluiti.
Quella che preoccupa di più è la terza componente, la riduzione della leva delle banche. Qui le cose potrebbero accelerare. Il fenomeno ha due aspetti, uno spettacolare e l’altro insidioso. Quello spettacolare sono le insolvenze delle banche. Finora, in America, sono state 11, ma sulla lista d’osservazione del Fdic ce ne sono più di cento e il numero potrebbe anche crescere.
Le insolvenze faranno notizia e spaventeranno ogni tanto i mercati, ma saranno, si spera, limitate a banche regionali e locali. Il problema insidioso riguarderà però tutte le banche che sopravviveranno, grandi o piccole non importa, e sarà il credit crunch.
Di credit crunch si parla da un anno ma finora, per vari motivi, non se ne è visto molto. Adesso, però, il fenomeno sta prendendo velocità e continuerà ad aggravarsi. Sui prestiti personali è già molto evidente. Due anni fa si andava a cercare la gente a cui prestare soldi, oggi chi si azzarda a chiederli viene radiografato, scannerizzato e indagato e in più, se degno, deve pagare tassi ben più alti di quelli in uso ancora un anno fa.
Quanto alle imprese, il credit crunch si fa ogni giorno più evidente. Fortunatamente in molti settori la posizione finanziaria è ancora buona, ma anche alla migliore impresa del mondo capita di dovere rifinanziare un debito che arriva a scadenza. Certo, se la banca non rinnova il finanziamento l’impresa si rivolge al mercato, ma il mercato attua anch’esso il suo credit crunche fa pagare tassi crescenti anche ai debitori migliori.
In pratica il mondo con l’inflazione in ritirata non va considerato molto migliore del mondo in cui l’inflazione era vivace, ma era almeno compensata da una crescita non ancora azzerata.
Il fatto che si possa intravedere l’attenuazione di qualche fenomeno negativo nel corso dei prossimi mesi non deve indurre a prendere nuovi rischi. Lo sappiamo che i mercati toccano il fondo uno o due trimestri prima della ripresa della crescita, ma questa ripresa (che oltretutto non si profila certo spettacolare) è di là da venire. Come ha detto oggi Rosengren della Fed, le elezioni ritardano la soluzione politica della crisi e bisognerà aspettare l’estate del 2009 per vedere un’accelerazione nel processo di superamento dei problemi.

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