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COLPIRE LA CASA E’ COLPIRE I CETI MEDI

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(WSI) – Non mi iscriverei mai ad un club che accetta tra i suoi soci persone come me. E’ una celebre battuta di Woody Allen, presa in prestito dai fratelli Marx. Silvio Berlusconi l’ha adattata così alla situazione del suo governo: «Eviterò con la massima cura di premiare gli italiani che mi hanno votato».

E, in effetti, la politica economica dell’esecutivo della Casa delle libertà è stata assolutamente coerente con questa linea paradossale e ha agito (a parte le vicende giudiziarie del premier) come se in Italia esistesse un solo elettorato da assecondare: quello rappresentato dalla sinistra ed organizzato dai sindacati. Come se i milioni di persone che hanno votato e continuano a votare – nonostante tutto – per il centro destra fossero «anime morte» evocate dalla magia del tubo catodico.

Il decreto legge emendato, sottoposto alla questione di fiducia, è solo l’ultimo atto di una politica che si accanisce contro i ceti medi. Nonostante che qualche bello spirito dell’opposizione – ostinatamente a caccia, come Diogene, di segnali, anche timidi, di thatcherismo realizzato – si sia spinto a sostenere che la seconda casa in Italia appartiene alle comuni esigenze delle famiglie, la stangata sull’imposta di registro e quindi sulle compravendite immobiliari colpisce proprio quei ceti medi e quei piccoli risparmiatori che Berlusconi e i suoi vorrebbero rappresentare.

Ma c’è di più. I nuovi provvedimenti procurano guai a uno dei settori che, nella stagnazione diffusa, ha tirato di più: quello immobiliare, appunto. Negli ultimi mesi – secondo uno studio del Censis – le famiglie italiane hanno investito la bellezza di 191,3 miliardi di euro nell’acquisto di una casa: una performance mai raggiunta in passato tanto per volume di compravendite quanto per dimensioni e capacità di spesa. In pratica, secondo l’autorevole centro di ricerca, dal gennaio 2003, sono state comprate 3.700 case al giorno (tre al minuto) per un investimento medio di quasi 168mila euro per alloggio. Ben 2,5-2,8 milioni di queste unità immobiliari sono case per le vacanze.

Certo, quando si agisce, come il governo, in condizioni di emergenza non si possono fare tante storie. Soprattutto se si deve assicurare credibilità ed efficacia alla manovra – allora finta – che Berlusconi, in versione interim, presentò in sede Ue.

Colpire la casa, però, è come sparare sulla Croce Rossa: i risultati sono sicuri. Ma perché non agire altrimenti? Con una sovratassa una tantum sull’Ici, ad esempio, da applicare alla proprietà, non all’atto dell’acquisto. Tale misura, oltre che più equa, sarebbe stata sicuramente più efficace e non avrebbe danneggiato (come l’aumento dell’imposta sul registro) il settore nella fase della compravendita e dell’intermediazione.

La «manovrina» è contemporaneamente l’«ultima raffica» della politica economica fin qui seguita e l’annuncio di quella che verrà fino alle elezioni (sempre più probabili nel 2005): si passa dal lassismo che confidava nella ripresa ad una situazione d’emergenza contabile che credevamo superata da anni. Appare sempre più chiaro, infatti, che senza gli apporti della finanza creativa di Giulio Tremonti il paese non sarebbe stato in grado di mantenere il deficit al di sotto della soglia del 3% del Pil.

Svanita la sbornia delle una tantum, cartolarizzazioni, sanatorie e dei condoni (tali artifici non possono essere inventati di continuo) il disavanzo sta risalendo, però, a livelli dimenticati da anni. Occorre tornare alla primavera del 1996 – al subentro di Prodi al posto del «tecnico» Dini – per trovare un buco simile a quello che si profila oggi. Per fortuna, il governo si è liberato di Tremonti, il quale non ne ha azzeccata una.

Nel 2001, anziché aggiustare i conti pubblici deteriorati, consegnatigli da Giuliano Amato, l’ex ministro teorizzò che non era il caso di fare interventi. Si rifiutò, persino, di ripristinare i ticket sui farmaci, demagogicamente soppressi dall’esecutivo precedente: misurate quote di partecipazione avrebbero certamente contribuito a evitare l’incremento della spesa sanitaria. Poi, anno dopo anno, ecco il miglioramento delle pensioni minime (che hanno interessato da 1,6 a 1,8 milioni di anziani) e l’introduzione della «no tax area».

Negli anni delle vacche magre, poi, il governo ha girato al largo delle riforme strutturali, lasciando così inalterato un assetto della finanza pubblica che adesso riemerge con tutti i suoi guasti. E’ la riforma delle pensioni a dimostrare le ambiguità populiste dell’esecutivo. Che senso ha lasciare tutto immutato fino a tutto il 2007, consentendo ai lavoratori in possesso dei requisiti per la pensione di anzianità di restare in servizio avvalendosi di un ricco bonus esentasse? I Cipputi d’Italia non votano per Berlusconi.

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