ROMA – “La situazione è grave, l’Italia rischia di rimanere ai blocchi di partenza mentre tutte le grandi economie del mondo si stanno rialzando dopo la crisi del 2008”. Matteo Colaninno, 41 anni, parlamentare che fa parte della Direzione Nazionale del Partito Democratico, di cui è Responsabile per lo Sviluppo Industriale e la Finanza d’impresa, in un’intervista con Wall Street Italia parla in termini molto chiari e critici. “Le responsabilita’ sono tutte della maggioranza di centro-destra”, dice. Colannino e’ un imprendiore che fa politica, vicepresidente del Gruppo Piaggio, amministratore delegato e vicepresidente di Omniaholding s.p.a. e consigliere di amministrazione di IMMSI.
WSI – Come vede il quadro complessivo dell’economia italiana?
Colaninno – “Il sistema Italia è fragile, estremamente fragile. Lo stock di debito pubblico che ci trasciniamo da anni, insieme alla crescita bassissima del Pil, sono il segno più evidente che lo sviluppo del nostro paese è asfittico.”
WSI – Cos’è che non ha funzionato?
Colaninno – “Per anni ci siamo abituati a sentir dire che la grande ricchezza del paese, la spina dorsale dell’economia italiana, era rappresentata dalle piccole e medie imprese. Vero, verissimo. Ma quanti sanno che il 95% delle imprese italiane ha meno di 15 dipendenti, e che solo un millesimo supera i 250 addetti? Questo è il vero problema strutturale su cui dobbiamo concentrarci, e per il quale trovare le soluzioni, per rilanciare l’economia”.
WSI – Ci spieghi meglio.
Colaninno – “Le imprese italiane sono troppo piccole e spesso troppo isolate per poter sfruttare le opportunità rappresentate dall’export. Hanno livelli di indebitamento eccessivi rispetto al capitale di rischio, frutto anche di una sbagliata politica del credito bancario e una scarsa propensione a prendere maggiori rischi, magari allargando la base societaria. In questo modo è difficile sopravvivere non solo alla concorrenza cinese, ma anche rimanere al passo con lo sviluppo tecnologico aiutatao dalle giuste riforme, portato avanti da altri partner europei come la Germania.”
WSI – Di chi è la responsabilità di tutto questo?
Colaninno – “Le responsabilità sono innanzitutto dei governi e dei ministri economici della maggioranza di centro-destra, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti in testa, che negli ultimi dieci anni hanno illuso i piccoli e medi imprenditori italiani. Invece di pensare ad una politica industriale capace di assecondare il cambiamento globale, hanno scelto tattiche miopi e spregiudicate, fatta di annunci privi di contenuto, come la promessa anacronistica di far approvare in sede europea dazi alle importazioni. E la responsabilità, come ha detto anche Emma Marcegaglia la scorsa settimana all’assemblea di Confindustria, è stata anche di noi imprenditori, che per troppo tempo abbiamo creduto alle promesse, illudendoci che il Made in Italy alla fine ci avrebbe salvato, nonostante tutto.”
WSI – Insomma una gran delusione, da un governo che avrebbe dovuto essere pro-libero mercato e pro-imprese.
Colaninno – “Infatti agli effetti annuncio non è seguito nulla. E lo scenario per le piccole e medie imprese è peggiorato. Invecee bisogna innanzitutto aumentare la capitalizzazione delle imprese, per permettere di aumentare di dimensione e di fronteggiare meglio la concorrenza internzionale. E poi serve una politica industriale che accompagni le aziende in questo cambiamento, creando le condizioni per una maggior competitività.”
WSI – Che proposte concrete farebbe, se domani le affidassero il Ministero dello Sviluppo?
Colaninno – “Tre cose: 1) riprendere il modello della Dual Income Tax proposto dal governo di Romano Prodi, che prevede agevolazioni fiscali per quelle imprese che destinano parte degli utili all’aumento di capitale proprio. 2) Stanziare nuove risorse per la riduzione del cuneo fiscale sui redditi da lavoro per ridurre il gap competitivo delle imprese e ridare potere d’acquisto ai lavoratori. 3) Infine reintrodurre, anche in questo caso sulla scia di quanto fatto in passato dal governo Prodi, i crediti d’imposta per le imprese che puntano su investimenti in innovazione e su collaborazioni di ricerca con le università, oggi solo in parte attuati dal governo. Senza contare tutta lista di liberalizzazioni proposte e ancora valide.”