Società

CIRIO BOND, CONDANNATA
LA PRIMA BANCA

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«Si deve ritenere che l’intermediario è venuto meno all’obbligo di curare l’interesse dell’investitore, obbligo che si spinge fino al punto di imporre al primo di valutare l’adeguatezza di ogni operazione disposta dal secondo». Con questa motivazione la nona sezione del Tribunale civile di Roma, presieduta da Ernesto Caliento, ha condannato qualche settimana fa la Banca Popolare di Lodi guidata da Gianpiero Fiorani a risarcire nove persone che avevano acquistato Cirio bond restituendo loro l’intero ammontare dell’investimento oltre agli interessi legali.

La cifra non è astronomica: 100 mila euro in tutto. Ma per la prima volta un Tribunale ritiene una banca responsabile di aver violato le regole «di informazione e di valutazione dell’adeguatezza dell’operazione» nella vendita di obbligazioni Cirio a risparmiatori che erano pure suoi correntisti. Con una decisione destinata forse a rappresentare un precedente.

I nove piccoli investitori, nella causa patrocinata dagli avvocati Carlo Felice Giampaolino e Alessandro Lendvai, avevano sostenuto di aver acquistato i bond Cirio emessi a Lussemburgo (poi andati in default) nell’agosto del 2000 su proposta della banca e senza adeguata informazione. Il ricorso al Tribunale precisava inoltre che «le obbligazioni non erano accompagnate da prospetto informativo, essendo riservate a investitori istituzionali».
La Popolare di Lodi ha replicato sostenendo di aver «adempiuto a tutti gli obblighi previsti», chiedendo ai risparmiatori notizie circa le precedenti esperienze in investimenti finanziari e la propensione al rischio, consegnando loro il «documento sui rischi generali» degli investimenti e valutando «l’adeguatezza dell’operazione». Anche se questa valutazione, è la tesi della banca, sarebbe stata «resa impossibile dal rifiuto dei clienti a fornire le informazioni richieste».

Il giudice è invece arrivato alla conclusione che l’istituto sarebbe venuto meno «al dovere di informarsi in ordine alla tipologia e affidabilità del titolo» assumendo «un comportamento non diligente e non rispondente alla necessità di proteggere investitori non professionali». Secondo il Tribunale, inoltre, il rifiuto del risparmiatore a fornire notizie non può «assumere il significato di un esonero o di una limitazione di responsabilità dell’intermediario nei confronti dell’investitore non professionale».

Caliento ricorda al proposito che i risparmiatori avrebbero dichiarato «di aver sottoscritto i documenti consegnati dalla controparte senza sapere cosa stessero firmando», e che il regolamento Consob «impone agli intermediari di astenersi da operazioni non adeguate». E secondo il giudice era «chiaro», trattandosi di correntisti, sui quali la banca disponeva quindi di proprie informazioni, «che l’operazione proposta non fosse adeguata in relazione alla loro situazione patrimoniale e alla scarsa propensione al rischio». La banca avrebbe perciò violato «i doveri di informarsi e informare», omettendo «informazioni sulle caratteristiche dei titoli» e «sulla non destinazione primaria ai risparmiatori».

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