(aggiornamento) Seconda lezione di Corano per il colonnello Gheddafi. Duecento hostess sono arrivare all’Accademia libica anche questa mattina per incontrare la “Guida della Rivoluzione”. Una decina di ragazze indossava il tradizionale velo islamico, mentre una portava appesa al collo una foto del Colonnello. Per le altre camicetta bianca e gonna nera.
Scese frettolosamente da quattro autobus, non hanno rilasciato dichiarazioni ai giornalisti che da stamani stazionano di fronte all’Accademia libica. Tra loro anche le tre ragazze convertitesi ieri all’Islam. Le hostess sono in numero molto minore rispetto all’incontro precedente 1, quando nella villa ne erano arrivate oltre 500.
A ventiquattr’ore dall’arrivo di Gheddafi è stata montata – nel giardino della blindatissima residenza dell’ambasciatore libico a Roma – anche la tenda che accompagna il Colonnello in tutti i suoi viaggi. Di colore bianco, la tenda è di dimensioni ridotte rispetto a quella grigio-verde che fu allestita nel 2009.
Due gli appuntamenti ufficiali che completeranno la giornata di Gheddafi. Alle 17 il leader libico visiterà insieme al premier Berlusconi una mostra fotografica all’Accademia libica. In serata partiranno i festeggiamenti per l’anniversario del Trattato di amicizia, con lo spettacolo equestre dei 30 cavalli berberi e il Carosello dei Carabinieri alla caserma Salvo D’Acquisto. Poi i circa 800 invitati si ritroveranno per la cena o Iftar – il pasto che spezza il digiuno imposto ai musulmani dal mese di Ramadan – offerta da Berlusconi al leader libico.
La polemica. Non si spengono intanto le polemiche politiche sulla visita del leader libico. Nonostante lo stesso Berlusconi avesse definito solo “folklore” le uscite di Gheddafi 2, oggi si registra un fuoco incrociato da ambienti “finiani”. La fondazione “Farefuturo”, vicina al presidente della Camera paragona l’Italia alla Disneyland del Colonnello. “Se l’Italia è diventata la Disneyland di Gheddafi”, si legge sul sito della fondazione”, la ragione è purtroppo politica. Nelle passeggiate romane il rais libico esibisce la sua amicizia con il premier, la sua paradossale centralità nella politica internazionale” dell’Italia, “che è progressivamente passata dall’atlantismo all’agnosticismo, dalle suggestioni neo-con alla logica commerciale, per cui il cliente, se paga, ha sempre ragione”. E “visto che Gheddafi paga, le sue diventano anche le ‘nostre’ ragioni e la sua politica la ‘nostra’”.
Sulla stessa linea anche Generazione Italia, l’associazione vicina a Italo Bocchino. “Vi immaginate Gheddafi che va a Parigi o a Berlino e organizza un incontro con 500 hostess per dir loro ‘diventate musulmane’? Noi no. E non a caso Gheddafi certe pagliacciate – è il termine giusto – le viene a fare a Roma, non a Parigi o a Berlino”. Lo scrive il direttore dell’associazione, Gianmario Mariniello.
Anche Carmelo Briguglio, deputato di Fli, esprime perplessità: “Queste visite di Gheddafi da un lato aumentano le distanze tra il governo italiano e i nostri tradizionali alleati, Stati Uniti in testa, e dall’altro creano con la S.Sede e con le gerarchie cattoliche problemi e malumori di cui nessuno sentiva il bisogno”.
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(WSI) – «L’Islam dovrebbe diventare la religione di tutta l’Europa». Così il leader libico Muammar Gheddafi ha apostrofato domenica pomeriggio a Roma le centinaia di ragazze convocate per una lezione sul Corano. A raccontarlo è stata una delle giovani hostess, Erika, di Roma, uscendo dall’Accademia libica. Il leader libico, giunto in mattinata nella capitale per celebrare il secondo anniversario della firma del Trattato di amicizia fra Italia e Libia, ha distribuito copie del Corano a circa 500 ragazze, che ha incontrato a scaglioni. «Tre ragazze con il velo si sono convertite con un rito davanti a Gheddafi», ha raccontato Alessandra. «Hanno pronunciato una formula», ha aggiunto.
Gheddafi ha collegato – secondo quanto riferito da una delle ragazze – l’ipotesi di un’Europa islamica all’ingresso della Turchia nell’Unione europea. Tra gli argomenti toccati dal colonnello nel corso dell’incontro anche l’amicizia tra Italia e Libia, più volte ribadita dal leader. Molte le domande rivoltegli nel corso dell’incontro con le 500 ragazze. Una di loro, Erika, ricorda che diverse ragazze hanno chiesto approfondimenti di tipo religioso, mentre «un paio sono state le domande a sfondo giornalistico».
Un’altra hostess, Tiziana, ha invece raccontato che il buffet non presentava alimenti a base di carne. «È stata una cerimonia molto formale, organizzata meglio del novembre scorso», ha evidenziato Tiziana, che aveva partecipato anche alle due serate di incontri organizzate quando Gheddafi è venuto a Roma per il vertice Fao. La ragazza ha poi riferito che nel corso della cerimonia «sono state rispettate tutte le nostre abitudini. E Gheddafi ha più volte sottolineato che la donna è libera, anche in Libia, dove può accedere a qualsiasi professione».
L’ARRIVO CON LE AMAZZONI – Gheddafi è arrivato a Ciampino alle 13.30, dopo un doppio cambio di programma. Sempre imprevedibile, Gheddafi – che indossava la tradizionale jeard libi e che è sceso dalla scaletta del velivolo scortato da due delle donne che compongono la sua scorta personale – è stato accolto dal ministro degli Esteri, Franco Frattini, e dall’ambasciatore libico in Italia, Abdulhafed Gaddur. Dopo i saluti da cerimoniale, per il leader libico sono previste oltre 24 ore di appuntamenti privati: fino cioè alle 17 di lunedì, quando si terrà il primo appuntamento ufficiale della visita, il convegno all’Accademia libica su «I rapporti fra Libia e Italia», seguito da una mostra fotografica sulla storia del paese nordafricano.
I BIG E LE RAGAZZE – Duecento avvenenti ragazze in abiti eleganti sono state convocate per l’incontro pomeridiano con Gheddafi nel cortile dell’Accademia libica a Roma, situata nei pressi della residenza dell’ambasciatore libico sulla Cassia. Il colonnello vi sarà ospitato in questi due giorni con la sua inseparabile tenda beduina, che la volta scorsa venne invece montata nei giardini di villa Doria Pamphilj. Tre pullman hanno accompagnato sul posto le ragazze, reclutate dall’agenzia Hostessweb, che già si era occupata di convocare le 200 ragazze che hanno seguito lo scorso anno gli insegnamenti del leader libico sulla religione islamica.
LA FUGA DELLE DUE HOSTESS – C’è anche un piccolo giallo: due delle ragazze hanno deciso di andarsene dalla villa poco prima dell’inizio dell’evento. Ai giornalisti assiepati fuori del cancello, che hanno notato quanto apparissero arrabbiate e deluse, non hanno voluto spiegarne il motivo, giustificandosi con un «noi non siamo nessuno». E alla domanda se fosse stata una «brutta esperienza», hanno risposto: «Lasciamo perdere». Le due ragazze hanno lasciato rapidamente l’edificio coprendosi il volto dalle telecamere con il passaporto. La tensione nel gruppo era già emersa prima dell’ingresso in accademia, quando alcune hostess e un coordinatore avevano avuto un acceso diverbio. «Non siamo retribuite» avrebbe poi detto una ragazza ai giornali. La volta scorsa, invece, ad ognuna delle partecipanti all’incontro era stato riconosciuto un «gettone» di 50 euro.
SCORTA DI AMAZZONI – Anche stavolta il leader libico ha portato con sé la sua scorta di amazzoni e la già citata tenda beduina. Al seguito del rais ci sono poi 30 cavalli arabi con altrettanti cavalieri: lunedì sera, alle 21, si esibiranno nel corso delle celebrazioni previste alla caserma Salvo D’Acquisto, alla presenza del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. I purosangue saranno ospitati nelle scuderie del IV Reggimento dei Carabinieri a cavallo fino al loro ritorno in patria. Lo spettacolo dovrebbe cominciare con alcuni cavalieri libici e proseguirà con il celeberrimo Carosello dei Carabinieri, che andrà in scena proprio in onore del leader libico e vedrà la partecipazione di circa 130 cavalli e cavalieri dell’Arma, due squadroni e una fanfara. Ultimo atto sarà la cena in caserma offerta dal premier italiano, e un ricevimento con 800 invitati.
LE POLEMICHE – Critiche al governo italiano per l’eccesso di accondiscendenza nei confronti del raiss sono arrivate dall’Italia dei Valori. «Il governo Berlusconi si occupa della tenda di Gheddafi ma non si preoccupa delle tende dell’Aquila» aveva detto il senatore Stefano Pedica che aveva accusato l’eseucito di «totale asservimento agli sfizi del dittatore libico, che ha preso il nostro paese come località di vacanza all inclusive».
Ai dipietristi replica Margherita Boniver, del Pdl: «L’Idv attacca Berlusconi per aver firmato lo storico trattato di cooperazione e amicizia con la Libia. Si dimentica che il trattato di Bengasi è stato costruito pezzo su pezzo dopo diversi anni di trattativa tra i vari governi italiani e il leader libico, quindi non è frutto di una sola politica. La ricorrenza che viene celebrata lunedì porterà grandi vantaggi e soprattutto la fine dell’epoca coloniale. Ne beneficeranno le imprese, si continueranno ad avere benefici sulla collaborazione nella lotta all’immigrazione clandestina e ci auguriamo potranno avere qualche risarcimento anche le migliaia di cittadini italiani cacciati su due piedi negli anni 70. Tutto questo è evidente per un trattato molto positivo e quindi oltre alle prevedibili eccentricità di Gheddafi bisogna guardare al futuro e continuare sulla giusta strada».
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In due anni Gheddafi è diventato il primo azionista della prima banca italiana (Unicredit) con una quota vicina al 7% (valore quasi 2,5 miliardi) e grazie allo storico 7,5% che controlla nella Juventus è il quinto singolo investitore per dimensioni a Piazza Affari. Le finanziarie di Tripoli hanno studiato il dossier Telecom, puntano a Terna, Finmeccanica, Impregilo e Generali.
di Ettore Livini (La Repubblica)
(WSI) – Non solo tende beduine, caroselli di cavalli berberi e sfilate di soldatesse-amazzoni. La Berlusconi-Gheddafi Spa, a due anni dalla fondazione, è uscita da tempo dal folklore. L’oggetto sociale d’esordio – la chiusura delle ferite del colonialismo – è stato rapidamente archiviato all’atto della firma del Trattato d’amicizia bilaterale nel 2008.
L’Italia ha garantito 5 miliardi in 20 anni alla Libia e Tripoli ha bloccato (a modo suo) il flusso di immigrati verso la Sicilia. Poi – snobbando i dubbi degli 007 Usa e dei “parrucconi” come Freedom House che considerano il Paese africano una delle dieci peggiori dittature al mondo – sono cominciati i veri affari.
Un pirotecnico giro d’operazioni gestite in prima persona dai due leader e da un piccolo esercito di fedelissimi (“gli imprenditori sono i soldati della nostra epoca”, dice il Colonnello) che ha già mosso in 24 mesi quasi 40 miliardi di euro e che rischia di cambiare – non è difficile immaginare in che direzione – gli equilibri della finanza e dell’industria di casa nostra.
La premiata ditta Gheddasconi ha una caratteristica tutta sua. Gli affari diretti tra i due sono pochissimi. Anzi, solo uno: Fininvest e Lafitrade, uno dei bracci finanziari di Gheddafi, hanno entrambe una quota in Quinta Communications, la società di produzione cinematografica di Tarak Ben Ammar, l’imprenditore franco-tunisino tra i principali fautori dell’asse Arcore-Tripoli. Il grosso del business si fa per altre strade.
Il Colonnello ha messo sul piatto un po’ del suo tesoretto personale (i 65 miliardi di liquidità di petrodollari accumulati negli ultimi anni). Il Cavaliere gli ha spalancato le porte dell’Italia Spa, sdoganando la Libia sui mercati internazionali ma pilotandone gli investimenti ad uso e consumo dei propri interessi, politici e imprenditoriali, nel Belpaese.
In due anni Gheddafi è diventato il primo azionista della prima banca italiana (Unicredit) con una quota vicina al 7% (valore quasi 2,5 miliardi) e grazie allo storico 7,5% che controlla nella Juventus è il quinto singolo investitore per dimensioni a Piazza Affari. Le finanziarie di Tripoli hanno studiato il dossier Telecom, puntano a Terna, Finmeccanica, Impregilo e Generali.
Palazzo Grazioli, nell’ambito del do ut des di questa realpolitik mediterranea, ha dato l’ok all’ingresso di Tripoli con l’1% nell’Eni (“puntiamo al 5-10%”, ha precisato l’ambasciatore Hafed Gaddur). E la Libia ha allungato di 25 anni le concessioni del cane a sei zampe in cambio di 28 miliardi di investimenti.
Il Cavaliere tira le fila, consiglia e gongola. L’ingresso del Colonnello in Unicredit – oltre che a innescare i mal di pancia leghisti – è il cavallo di Troia per conquistare i vecchi “salotti buoni” tricolori, la stanza dei bottoni che controlla Telecom, Rcs – vale a dire il Corriere della Sera – e le Generali. Il momento per l’affondo è propizio. Il Biscione ha già piazzato le sue pedine negli snodi chiave: Fininvest e Mediolanum hanno il 5,5% di Mediobanca, crocevia di tutta la galassia.
Tra i soci di Piazzetta Cuccia – con un pool di azionisti francesi accreditati del 10-15% – c’è il fido Ben Ammar. E gli ultimi due tasselli sono andati a posto in questi mesi. Lo sbarco di Tripoli a Piazza Cordusio, primo azionista di Mediobanca, stringe la tenaglia dall’alto. E a chiuderla dal basso ci pensa Cesare Geronzi, presidente delle Generali i cui ottimi rapporti con il Colonnello (e con il premier) – se mai ce ne fosse stato bisogno – sono stati confermati dalla difesa d’ufficio di entrambi al Meeting di Rimini.
Niente di nuovo sotto il sole: l’assicuratore di Marino ha sdoganato Tripoli anni fa accogliendola nel patto di Banca di Roma (poi Capitalia) assieme a Fininvest. E ancor prima ha imbarcato la Libia in banca Ubae, guidata allora da Mario Barone, uomo vicino a quel Giulio Andreotti che solo un mese con il suo mensile ‘30 giorni’ ha pubblicato un volume sui discorsi pronunciati da Gheddafi nella sua ultima visita italiana.
Il puzzle adesso è quasi completo. Il Cavaliere ha in mano il controllo di industria e finanza pubbliche. E ora, grazie all’asse con Ben Ammar e Geronzi e ai soldi di Gheddafi (sommati alla debolezza delle vecchie dinastie imprenditoriali tricolori), può blindare quella privata estendendo la sua influenza su tlc, editoria e – Bossi permettendo – sulle ricchissime casseforti delle banche e delle Generali.
L’asse con il Colonnello gli regala però un’altra opportunità d’oro: quella di distribuire le carte delle commesse a Tripoli garantite dall’attivismo dell’efficientissimo tandem, immortalato ora a imperitura memoria sul frontespizio dei passaporti libici. Ansaldo Sts (per il segnalamento ferroviario) e Finmeccanica (elicotteri) hanno incassato due maxi-ordini. I big delle costruzioni si sono messi in fila per gli appalti sulla nuova autostrada libica da 1.700 chilometri (valore 2,3 miliardi) affidata in base agli accordi bilaterali ad aziende tricolori.
In questi mesi hanno attraversato il Mediterraneo pure l’Istituto europeo di oncologia e Italcementi mentre Impregilo ha consolidato con una commessa da 260 milioni la sua già solida posizione nel Paese nordafricano dove con 150 miliardi di investimenti infrastrutturali nei prossimi sei anni la torta – previo via libera della Gheddasconi Spa – è abbastanza grande per tutti.
Anche Gheddafi, come ovvio, ha il suo dividendo. L’Italia è il cavallo di Troia per portare la Libia fuori dall’isolamento nell’era in cui la liquidità, come dimostra il salvataggio delle banche Usa da parte dei fondi sovrani arabi, non ha più bandiere. Missione compiuta se è vero che persino a Londra – grazie a un’operazione di diplomazia sotterranea guardata con sospetto a Washington – l’abbinata politica-affari ha dato risultati insperati: la Gran Bretagna ha liberato un anno fa Abdelbaset Al Megrahi, l’ex 007 libico condannato per l’attentato di Lockerbie e il Colonnello ha dato subito l’ok alle trivellazioni Bp nel golfo della Sirte.
Nessuno poi ha battuto ciglio nella City quando Tripoli ha rilevato il 3% della Pearson (editore del Financial Times) e fondato lungo il Tamigi un hedge fund. O quando il numero uno della London School of Economics è entrato tra gli advisor della Libian Investment Authority a fianco del banchiere Nat Rothschild e a Marco Tronchetti Provera.
Pecunia non olet. E anche l'(ex) dittatore Gheddafi non è più un appestato per le cancellerie internazionali. Il premier greco Georgios Papandreou è sbarcato qui per cercare aiuti. La Russia di Putin – altro alleato di ferro dell’asse Gheddafi-Berlusconi – si è aggiudicata fior di commesse a Tripoli come le aziende turche di Erdogan, altra new entry in questo magmatico melting pot geopolitico tenuto insieme, più che dagli ideali e dalla storia, dal collante solidissimo del denaro.
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