La Cina seguira’ la strada della riforma dei tassi di cambio tra yuan e dollaro, ma lo fara’ muovendo solo piccoli passi verso una fase di rivalutazione della valuta nazionale e solo se portera’ benifici alla propria economia. Lo ha promesso Hu Jintao, presidente del Paese asiatico, al pari grado statunitense Barack Obama, in quella che rappresenta una svolta rispetto alle tensioni del passato. Le parole di Hu hanno infatti rinsaldato l’idea che Pechino fara’ finalmente delle concessioni agli Stati Uniti in materia di tassi di cambio.
Lo scambio di vedute tra i due capi di stato si e’ svolto lunedi’ a margine del vertice di due giorni sulla sicurezza nucleare indetto dal presidente americano e al quale stanno partecipando 47 capi di stato, o i rappresentanti delle rispettive delegazioni, in quello che e’ il raduno di leader internazionali piu’ grande tra quelli svolti in suolo americano dai tempi del vertice del 1945 voluto da Franklyn Delano Roosevelt che vide poi la nascita della Nazioni Unite.
I colloqui bilaterali hanno rappresentato un momento per certi versi storico. Si e’ infatti trattato della prima volta in cui i due Paesi hanno affrontato l’argomento da quando le tensioni sino-americane sulla svalutazione dello yuan hanno rischiato di scatenare una disputa molto seria sugli scambi commerciali. Tra l’altro e’ solo una delle tante questioni su cui le posizioni dei due Paesi divergono. Basti pensare alla questione dei diritti umani in Tibet, alla vendita di armi in Taiwan da parte degli Usa e alle sanzioni contro l’Iran.
Forse e’ anche per questo motivo che Hu Jintao ha lasciato la porta aperta ad un’eventuale rivalutazione della valuta cinese nelle prossime settimane, senza pero’ voler entrare troppo nel dettaglio. Il presidente cinese ha detto che Pechino non subira’ le pressioni esterne e qualsiasi decisione sullo yuan verra’ presa in base ai propri bisogni economici. In questo gli analisti danno ragione a Pechino, ritenendo che una strategia di questo tipo si sposera’ bene con la prevista ripresa solida dell’economia, che sara’ caratterizzata da un incremento delle esportazioni e da un rincaro dei prezzi.
Al contempo Hu ha voluto sottolineare l’importanza del momento, con la Cina che da lunedi’ ha di fatto effettuato un’inversione di rotta netta rispetto al passato. “La Cina seguira’ con fermezza la strada della riforma del meccanismo di equilibrio dei tassi di cambio”, ha garantito Hu ad Obama nell’incontro bilaterale svolto al Convention Center di Washington. “Nel procedere alle riforme, prenderemo in seria considerazione i cambiamenti e gli sviluppi economici globali, cosi’ come le condizioni economiche della Cina stessa”.
Tuttavia e’ troppo presto per cantare vittoria. Gli Stati Uniti non si devono aspettare che uno yuan piu’ forte sia una panacea di tutti i mali per la maggiore economia mondiale. La presa di posizione sui tassi di cambio imboccata dalla Cina e un’eventuale rivalutazione dello yuan “non riequilibrera’ gli scambi sino-americani e non risolvera’ il problema della disoccupazione negli Stati Uniti”, ha avvertito Hu. In compenso la Cina ha intenzione di incrementare il numero di acquisti di beni americani, esortando in questo modo Washington ad allentare i controlli sulle esportazioni di prodotti tecnologici.
Agli americani non va giu’ che il valore dello yuan rispetto al dollaro venga mantenuto volontariamente basso per alimentare le esportazioni cinesi, il vero punto di forza di Pechino. Questo alle spese delle esportazioni Usa e di conseguenza del mercato del lavoro. Il gap di bilancio commerciale rispetto a Pechino si e’ ristretto a $226.8 miliardi nel 2009 dai $268 miliardi record del 2008.
Cio’ significa solo una cosa: che Obama e’ chiamato a tenere una linea dura per spingere la Cina a consentire una graduale rivalutazione. L’incontro di Washington e’ andato in questa direzione. D’altronde gia’ prima della sua partenza per gli States, Hu Jintao aveva annunciato di essere pronto a negoziare.
Chissa’ che dopo i contribuenti americani, a venire in soccorso degli Stati Uniti non ci pensi il nemico di un tempo, un Paese dalla testa capitalista nel corpo di uno stato socialista, diventata la seconda potenza mondiale per PPA (parita’ di poteri di acquisto). Uno smacco che tuttavia gli Usa sembrano pronti a subire di buon grado.