Via libera del Parlamento cinese alla proprietà privata. L’Assemblea Nazionale del Popolo, dopo sette anni, approva con 2.799 voti a favore, 52 contrari e 37 astenuti una legge che riconosce il diritto alla proprietà privata, salvo che per la terra, che resta sotto il controllo dello Stato. La legge regola la proprietà collettiva, pubblica e privata e mira a incrementare il sistema di protezione delle attività private.
Tuttavia, la nuova normativa non introduce cambiamenti per le aziende agricole: la terra resta, infatti, proprietà dello Stato. Il Parlamento approva, inoltre, una legge che elimina gli sgravi fiscali di cui godono gli investitori stranieri, unificando l’aliquote fiscale per tutte le imprese al 25 per cento dei profitti.
Il provvedimento, che passa con 2.826 voti a favore, 37 contrari e 22 astenuti, mette fine a decenni di privilegi fiscali e a quella che è stata sempre vissuta dalle imprese domestiche come una chiara discriminazione: le aziende straniere fino ad oggi erano tassate, infatti, al 10 per cento, mentre quelle cinesi al 33 per cento. Il passo era atteso fin dal lontano 2001, anno in cui la Cina fa il suo ingresso nel Wto (World Trade Organization), ovvero l’Organizzazione mondiale del commercio.
La legge entrerà in vigore dal 2008 e, secondo le stime del Governo, consentirà allo Stato di incassare circa 41 miliardi di yuan in più, pari a 5,3 miliardi di dollari.
Nel giorno più atteso per la proprietà privata, però, il primo ministro cinese, Wen Jiabao, nella conferenza stampa tenuta a conclusione dei lavori dell’Assemblea Nazionale del Popolo, annuncia che lo sviluppo della Cina basato sugli investimenti e sulle esportazioni “non è sostenibile”. Il premier mette l’accento sulla necessità di uno sviluppo più contenuto rispetto al 10,7 per cento dell’anno scorso. La Cina, sottolinea, è pronta “far la sua parte” per ridurre le emissioni di gas inquinanti rispettando l’accordo di Kyoto, “anche se è un Paese in via di sviluppo”.