*Beppe Scienza e’ professore all’Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Matematica. Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.
(WSI) – Il pericolo, dove uno meno se l’aspetta. Si spiegano così le reazioni degli obbligazionisti dei bond argentini, Cirio e Parmalat. Risparmio gestito e previdenza privata provocano ogni anno danni ben maggiori a milioni d’investitori, che però non protestano con la stessa veemenza. Forse perché non se ne accorgono.
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Il punto è che per trovare in Italia un altro caso di obbligazioni non rimborsate bisognava risalire alle Liquigas nel 1980. Il che significa che i risparmiatori erano abituati a ignorare i rischi d’inadempienza nel reddito fisso. Impostazione giusta per i titoli pubblici e tutto sommato anche quelli bancari. Non altrettanto per le obbligazioni piazzate, spesso con insistenza, dalle banche, come gli italiani hanno riscoperto a loro spese grazie a quelle insolvenze succedutesi, una all’anno, dal 2001 al 2003.
Due fatti rendono il discorso attuale. Da un lato i prezzi delle azioni assegnate agli obbligazionisti della vecchia Parmalat, risaliti sopra i 2,6 euro. D’altro lato l’ultima trovata della Task Force Argentina (Tfa): a quanti sono rimasti invischiati nelle vecchie obbligazioni essa proponeva di aderire entro venerdì scorso a un ricorso allo Icsid, un organismo internazionale praticamente privo di poteri.
Cifre in libertà. Sulle dimensioni delle perdite subite dai risparmiatori italiani se ne sentono di tutti i colori. Un esempio è il recente rapporto “Il risparmio punito” dell’Eurispes, dell’aprile 2006. Vi si legge che subito dopo il default, collocato erroneamente nel 2002, le obbligazioni dell’Argentina persero ogni valore; invece valevano 40. Oppure che il crac Cirio pesò sui risparmiatori per quattro miliardi, quando tutte le obbligazioni del gruppo ammontavano a circa uno. Così facendo e così sbagliando, il rapporto arriva a una perdita di 20 miliardi, doppia rispetto a quella vera.
Lo battono però alcune associazioni di consumatori, che straparlano di perdite di 50 miliardi, conteggiando gli scandali Bipop, Banca 121… e forse anche il terremoto del Belice.
Valutando i tre crac ai prezzi attuali dei titoli tenuti o ricevuti, si arriva comunque a circa 10 miliardi. Si veda la tabella in pagina e, per le fonti e la metodologia, il sito Internet del Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino.
In ogni caso si debbono considerare solo le perdite degli obbligazionisti e non quelle di capitale di rischio. Rispetto a quale prezzo si potrebbero poi valutare le perdite degli azionisti Cirio o Parmalat? Rispetto ai massimi storici, ai minimi prima della sospensione, alla media degli ultimi 43 mesi?
Forti squilibri. Gli obbligazionisti Parmalat hanno ricevuto azioni e qualche warrant. I recenti recuperi hanno migliorato un poco la loro situazione. A parte i warrant, con le emissioni quotate in Italia il recupero è del 15%, con le principali euroobbligazioni del 33%. I più fortunati hanno addirittura guadagnato dal default: chi aveva le Parmalat Soparfi 12122022 è arrivato al 120%!
Analogo il discorso per la Cirio, andata in liquidazione anche per l’opposizione delle associazioni di consumatori. A parte comportamenti indecenti di varie banche che la magistratura sta portando alla luce, con le emissioni più bistrattate si dovrebbe recuperare un 3% (!), mentre le Del Monte Finance valgono oltre 80.
Quote di recupero così diverse sono dipese dalle singole situazioni societarie delle società emittenti, pur dello stesso gruppo. Ben differente la situazione degli obbligazionisti dell’Argentina o della Provincia di Buenos Aires. Tranne limitati vantaggi per i piccoli risparmiatori, tutti hanno recuperato nella stessa misura.
Tutti tranne quei circa 250 mila poveretti che hanno dato retta alla Task Force Argentina, alla ditta Altroconsumo e a molte associazioni di consumatori. Eppure era chiaro che conveniva accettare il concambio proposto da Buenos Aires, come analizzato più volte su Repubblica. Chi l’ha fatto, adesso ha circa 54 euro ogni cento di valore nominale dei vecchi titoli. Gli altri si ritrovano col cerino acceso in mano. Ora come ora, ma non si sa ancora per quanto, possono realizzare circa 28 euro. In futuro forse nulla.
Quasi nessuno lo dice, ma quei consigli guerrafondai hanno provocato ai risparmiatori italiani un danno aggiuntivo di circa 1,6 miliardi di euro. Circa il doppio delle perdite subite da tutti gli obbligazionisti Cirio.
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