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CHI E’ DAVVERO PRIMO?

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(WSI) – Il successo mediatico dell’indice di competitività
delle nazioni elaborato ogni anno
dal World Economic Forum fa infuriare i
ricercatori più seri. In effetti è un misto piuttosto
discutibile tra dati di percezione e oggettivi.
Ed è giusto avvertire il pubblico che
il 47° posto dell’Italia su 117 nazioni valutate
in tale classifica non ha valore scientifico.

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Questa rubrica, tuttavia, prega i colleghi rigoristi
di essere tolleranti per motivi di priorità
strategica. La formazione di un mercato
globale stimola la domanda di schemi di valutazione
sintetica che permettano la formazione
di un’opinione pubblica mondiale.
Che a sua volta genererà delle visioni comuni
nelle duecento nazioni del pianeta, prima
nelle élite e poi nelle popolazioni. In tale
scenario è cruciale dominare il contenuto di
tali standard in modo che diventino favorevoli
all’occidente.

Per esempio, è irrilevante
l’imprecisione nel misurare il valore competitivo
del welfare, mentre è importante
che una nazione sia costretta a essere valutata
per il fatto di avere o meno un welfare
stesso. Perché può aiutare a costruirlo dove
non c’è nel momento in cui le élite di un
paese emergente realizzano che da ciò dipende
la loro accettazione nella comunità
internazionale. Per tale effetto strategico sono
rilevanti gli indici comparativi globali,
ma non la loro precisione scientifica. Per
esempio, se quello del WEF inserisse la democratizzazione
come fattore sovraponderato
di competitività, allora il valore politico
di tale scelta sarebbe superiore all’obiezione
che in sede di ricerca tecnica tale assunto
non è precisabile.

In particolare, è
inutile ridicolizzare l’indice WEF perché
mette al primo posto mondiale la Finlandia
per competitività complessiva, nazione in
crisi e sovradipendente dagli andamenti di
una sola megazienda, la Nokia, oltre che dal
taglio delle foreste. Il criterio che rende possibile
tale strano risultato, evidentemente,
sottostima le vulnerabilità generate dai sistemi
protetti. Ma proprio per questo è perfetto
per (aiutare a) indurre un rialzo dei costi
dei sistemi asiatici: vuole la Cina risalire
la classifica dal 57° al primo posto? Le sue
élite alzino le tasse, migliorino sanità ed assistenza,
e otterranno sia più competitività
sia la cooptazione nella comunità globale
politicamente corretta.

Paradossale? La verità
è che la Cina è già al primo posto, gli europei
morti, l’America con poche speranze.
Per questo servono nuove armi simbolico/
politiche che impongano al mondo standard
favorevoli all’occidente gravato di costi
sociali incomprimibili. In questa ottica strategica
anche l’indice WEF è accettabile.

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